Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 28 aprile 2005

Quell’Utopia dello Status Quo

Visto da Francoforte

Pubblichiamo un estratto del discorso tenuto da Tommaso Padoa Schioppa nell’ ambito del colloquio « L’ Eurosistema, l’ Unione e oltre » , che si è tenuto ieri a Francoforte, in occasione della sua prossima uscita dalla Banca centrale europea.

Questa riunione di amici e colleghi di una vita di lavoro mi ricorda la scena finale di un film di Fellini, dove una processione di tutti i personaggi avanza al suono di una dolce, nostalgica melodia. Poco per volta scopri che è un sogno, non una realtà. Ma per ognuno dei personaggi potresti raccontare una storia vera.

Nella classica triade learn, earn, serve ( imparare, guadagnare, servire), che descrive il complesso delle attività umane, ho scelto il servizio pubblico ( il serve ) piuttosto che il mondo degli affari o quello accademico. Da quest’ ultimo( l’ imparare) mi tratteneva l’ aspettativa che – l’ economia essendo scienza dell’ agire e del decidere – il richiamo all’ azione sarebbe divenuto prima o poi irresistibile. E tra il « servire » e il « guadagnare » , ciò che mi spingeva verso il primo era il senso dell’ impegno che fioriva nel clima di ritrovata libertà civile e di passioni politiche nel quale crebbi. Era davvero forte il richiamo al servizio del pubblico interesse e al rifiuto dell’ indifferenza politica.

Entrai dunque nel « servire » , ma qui vorrei discorrere dell’ « imparare » . In particolare vorrei mettere in luce due o tre cose che ho imparato solo dopo il mio passaggio dalla condizione di studente a quella d’ impiegato circa quaranta anni fa.

La prima di esse riguarda maestri e modelli . Il bisogno di maestri e modelli non si estingue con l’ uscita dall’ insegnamento formale che si riceve a scuola e all’ università. Dura tutta la vita. È un bisogno particolarmente acuto nei primi anni di ogni vita di lavoro, quando il giovane, superistruito e totalmente sprovveduto di esperienza, ha superato un difficile concorso per essere assunto e poi si trova abbandonato a se stesso nella sua ricerca della giusta miscela di obbedienza, iniziativa, uso dei suoi talenti, pazienza, impazienza.

Ebbene, io ho avuto l’ immensa fortuna di trovare persone siffatte, persone di cui potrei qui dare i nomi e tracciare i ritratti, a ciascuna tappa della mia vita professionale, compresa quella vissuta qui a Francoforte alla Bce.

La seconda cosa riguarda il campo aperto al cambiamento. Il giovane spesso crede di entrare in un mondo dall’ assetto compiuto, un mondo che impiegò innumerevoli generazioni a raggiungere la configurazione in cui egli lo trova e che cerca di capire. Spesso lo considera assai più immutabile di quanto in realtà non sia.

Ebbene, una cosa fondamentale che ho imparato è come nei pochi decenni che costituiscono l’ arco di una vita molte più cose cambino – possano cambiare, possano essere cambiate, debbano cambiare – di quanto uno pensi nei suoi primi anni. L’ Utopia più grande è il mantenimento dello status quo. Dall’ angoscia e dalla distruzione della seconda guerra mondiale, la cui memoria visiva ed emotiva risale alla mia prima infanzia, ho visto il mio Paese emergere da una povertà secolare al benessere, dalla guerra alla pace, dalla dittatura alla democrazia. Ho visto l’ Europa emergere da divisioni, nazionalismi e conflitti all’ Unione e alla concorrenza. Ho visto il mondo rapidamente diventare uno e soffrire in misura crescente della sua divisione.

La terza cosa riguarda la natura del lavoro . È la necessità che ci impone di lavorare. Lavoriamo perché ci fu detto « con il sudore del tuo volto mangerai il pane » . Ebbene, ho imparato quanto la necessità e il diletto coesistano nel lavoro. Per la gran parte degli esseri umani, attraverso i secoli e attraverso il pianeta, la necessità è il fattore dominante: pensiamo a chi emigra o è escluso o è indigente. Ma per il privilegiato gruppo sociale cui apparteniamo, la necessità e il diletto si rafforzano a vicenda. Quando il senso della necessità si affievolisce, diviene anche più arduo trovare diletto nel lavoro. D’ altra parte, se svolto con diletto, il lavoro è per gli adulti ciò che il gioco è per i bambini, qualcosa cui possiamo dedicarci senza mai stancarci e attraverso cui stabiliamo legami profondi con le persone senza bisogno di parole.

Se non comprendiamo nulla del mondo, non possiamo operare in modo efficace per influire sul suo divenire. Ma comprendere non significa prevedere. Significa invece scorgere potenzialità, identificare vincoli, porre obiettivi. Porsi nella prospettiva della previsione del futuro costituisce addirittura un serio ostacolo a una effettiva comprensione. È cosi perché il futuro non è predeterminato. La linea mobile che lo separa dal passato procede in un modo che è allo stesso tempo imprevedibile e suscettibile di essere influenzato da noi. Perciò l’ imparare non finisce mai e non deve mai finire. Senza apprendimento l’ azione è vana.

Quando da studente divenni lavoratore, pensai di muovere dall’ imparare all’ agire, dai Lehr ai Wanderjahre . Presto scoprii che era solo il passaggio a un altro modo di imparare. Il sorprendente disegno di Goya qui sopra ci dice che imparare e peregrinare sono la stessa cosa e durano fino alla tarda età. Il suo motto aún aprendo – continuo a imparare – mi ha accompagnato nella seconda età e spero che continuerà ad accompagnarmi nella prossima.

Vedi l’articolo in pdf

Stampa Stampa
Data
28 aprile 2005
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera