Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 11 ottobre 1998

Se il predatore si fa pecora

Le difficoltà della finanza mondiale


La crisi italiana si colloca in uno scenario internazionale che non va sottovalutato, ne’ dal punto di vista di cio’ che l’Italia puo’ subire, ne’ dal punto di vista di cio’ che essa deve fare per contribuire alla stabilita’. Cerchiamo di illustrare questo scenario. Un anno fa si prevedeva, per il ‘98, una crescita dell’economia mondiale del 4 % . Ora la previsione e’ dimezzata e per il ‘99 non ci si attende di meglio. Le centinaia di ministri, banchieri centrali, funzionari, giornalisti, finanzieri, economisti che erano convenuti da quasi 200 Paesi per le riunioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale, sono ripartiti da Washington con animo preoccupato.

In molti Paesi asiatici, in Giappone, in Russia, il reddito e’ in forte diminuzione. La Banca mondiale stima che in Estremo Oriente 20 milioni di persone siano ricadute sotto la soglia della poverta’.

“Siete giunti qui nel mezzo di una crisi. Non parliamo di Paesi in crisi, ma di un sistema in crisi” ha detto il direttore del Fmi, Michel Camdessus. Secondo le diagnosi di tutti i piu’ qualificati operatori pubblici e privati, e’ “la crisi piu’ grave degli ultimi 50 anni”.

Come si e’ giunti alla situazione di oggi? Perche’ si parla di crisi? Come uscirne? Per anni il risparmio del mondo e’ abbondantemente fluito verso Paesi dell’Asia, dell’Europa centro – orientale, dell’America Latina che – pur diversi per storia, cultura, sistema politico – avevano in comune il fatto di essere nuovi venuti nel mercato e nella finanza internazionali.

Si parlava percio’ di Paesi “emergenti”. Il risparmio veniva convogliato verso di loro soprattutto dalle banche dei Paesi industriali tramite quelle locali. La crescita delle economie emergenti era molto forte e assicurava rendimenti elevati al risparmio investito. L’abbondanza dei finanziamenti, a sua volta, favoriva la crescita. I finanziatori non facevano i difficili con chi bussava a quattrini. Aprivano le porte a tutti, senza porre troppe domande. Sapevano, naturalmente, che se i rendimenti erano alti era perche’ anche i rischi erano alti: strutture economiche e istituzionali spesso deboli e rudimentali, leggi e controlli carenti, amministratori inaffidabili, funzioni di governo rose dalla corruzione rendevano incerto il buon fine del credito concesso. Ma ognuno confidava di saper fiutare il vento meglio dei concorrenti e di potere percio’, all’avvicinarsi della tempesta, lasciare la nave con la prima scialuppa.

Negli ultimi 15 mesi il quadro e’ mutato: prima in casi isolati, poi in modo generalizzato. La Thailandia, poi la Corea, quindi l’Indonesia hanno visto inaridirsi il flusso dei finanziamenti. Situazioni diverse, cause diverse, ma uno stesso verdetto negativo sulla qualita’ del debitore. Il Fondo monetario internazionale e’ intervenuto in ognuno di quei Paesi accordando finanziamenti a condizione che le politiche economiche (e, in Indonesia, anche la politica) cambiassero: in parte ha compensato il riflusso del risparmio privato; in parte – ristabilendo la fiducia – ha riattivato quel flusso. L’equilibrio si e’ ristabilito.

A meta’ dell’estate l’equilibrio viene rotto da due episodi. In Russia la crisi economica e finanziaria viene inasprita dal ribasso delle materie prime, principale voce di esportazione. Il cambio crolla. Il governo dichiara una moratoria unilaterale del proprio debito. In Giappone recessione e crisi bancaria si alimentano a vicenda e paiono inarrestabili. Le economie asiatiche, di cui la giapponese e’ il pilastro, vengono colpite nuovamente.

Due episodi diversissimi, ma accomunati dall’intreccio tra difficolta’ economico – finanziarie e difficolta’ politiche: governi privi di sostegno parlamentare non riescono a decidere. Cure note ed efficaci vengono, per voce dei parlamenti (la Dieta, la Duma), rifiutate dal malato. La Russia precipita poco dopo che il Fmi ha approvato un cospicuo finanziamento condizionato a un programma di risanamento. Vacilla la fiducia e muta l’atteggiamento della finanza internazionale verso tutti i Paesi emergenti, non solo verso la Russia. Il Brasile viene attaccato. Paesi in buona salute faticano a trovare credito. Per questo Camdessus ha parlato di crisi di un sistema. Se improvvisamente si passa da porte sempre aperte a porte sempre chiuse; se non si fa distinzione tra debitore buono e debitore cattivo; se ogni banca non compie il faticoso lavoro di aprire lo spioncino, guardare in faccia chi bussa, fargli domande, valutare le risposte, sollecitare impegni per poi decidere a chi dire si’ e a chi dire no; se tutto cio’ non avviene, allora il sistema non funziona. Prima genera prosperita’ effimera, poi poverta’ e dolore. Invece di creare nuova ricchezza, distrugge quella esistente. L’esperienza storica e la teoria economica insegnano che spirali perverse sono possibili: cala il reddito, non si rimborsano i debiti, le banche perdono denaro e negano nuovi crediti, altre imprese percio’ falliscono, la situazione delle banche si aggrava ancor piu’ e cosi’ via.

Come evitare il pericolo? Lo si evitera’ se ambo i giocatori della partita (il mercato e le autorita’ pubbliche) comprenderanno rapidamente che gli errori di ieri non sono quelli di oggi, che la virtu’ di ieri non e’ quella di oggi. Se le banche hanno errato in passato aprendo la porta a tutti, oggi aggraverebbero l’errore chiudendola a tutti. Dimenticherebbero che il loro mestiere e’ di assumere rischi, non di contemplare nature morte. Il rischio di investire in Paesi emergenti e’ stato ieri sottovalutato; non si e’ distinto tra i sani e i malati; non si e’ chiesto, per il rischio assunto, un premio adeguato. Cio’ e’ il passato. Il pericolo di oggi e’ un altro: di sopravvalutare il rischio assunto, di aggravare la crisi ritirandosi.

Se per anni la virtu’ di governi e banche centrali e’ stata l’invito alla prudenza e l’ammonimento che ognuno paghi per i propri errori, oggi essa improvvisamente sta nel ricordarsi che – in rari ma insidiosi momenti – il pericolo puo’ venire da un rifiuto del rischio. Questo hanno significato le appassionate parole di McDonough, presidente della Banca federale di New York. Questo ha voluto dire Tietmeyer quando ha ricordato che la diminuzione dei tassi non e’ un tabu’.

Avidita’ e paura (greed and fear) sono i due termini con cui si usa qualificare il mondo della finanza. C’e’ un istinto predatore nella vita economica. E il predatore e’ ad un tempo aggressivo e timoroso, sempre al confine tra la caccia e la paura. Troppa caccia ieri, troppa paura oggi.

Se il predatore diviene gregge, pastori e cani divengono necessari.

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Data
11 ottobre 1998
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera