Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 14 marzo 1999

Lo stupore dell’Asia per l’Europa

Rivoluzione nei rapporti


Obuchi, primo ministro del Giappone, ha visitato l’ Italia in gennaio. Jiang Zemin, capo della Cina e successore di Deng Xiaoping, sara’ a Roma fra pochi giorni per una visita ufficiale che non ha precedenti. I responsabili politici dei grandi Paesi dell’ Est – Asia rivolgono all’ Italia e all’ Europa un’ attenzione che da tempo non si vedeva. Avevamo conosciuto un mondo est – asiatico meta di missioni politico – economiche dei governanti europei (Kohl si recava in Cina circa una volta l’ anno accompagnato da decine di operatori economici) e un’ Europa meta di missioni tecnico – economiche provenienti dal Giappone e dai Paesi emergenti dell’ Asia orientale: le une e le altre in cerca di collaborazioni industriali e di sbocchi commerciali. Ma il colloquio veramente politico era tra Asia e America, tra America ed Europa.

Per anni l’ Oriente asiatico aveva stupito l’ Europa e l’ Occidente. Interi settori industriali del Vecchio e del Nuovo Mondo erano stati cancellati dalla concorrenza di Giappone, poi Hong Kong, Corea, Taiwan, Malesia, Cina. Ricordo la baldanzosa sicurezza con cui, pochi anni fa, un giovane esponente di Singapore, citando in perfetto inglese il Trattato di Westfalia e le guerre di religione, avvertiva un’ affascinata platea di europei che nel giro di 15 – 20 anni l’ Oriente asiatico avrebbe potuto produrre, e forse avrebbe prodotto, la totalita‘ dei beni manifatturieri di cui l’ intera umanita’ aveva bisogno. L’ Europa e’ finita, sembrava dirci, e la fine sta scritta nella sua stessa storia e nella sua cultura. Ricordo la dolce cortesia con cui il presidente della Keio University, un professore di cinese, ricevendomi a Tokio nel ‘ 93, mi disse: “Vede, in questi primi cento anni seguiti alla rivoluzione Meiji, noi giapponesi abbiamo dovuto innanzitutto imparare l’ uso degli strumenti e delle tecniche vostri, quelli che l’ Occidente aveva inventato e sfruttato durante i 250 anni del nostro isolamento. Ora che cio’ e’ avvenuto possiamo incominciare ad affermare i valori della nostra cultura e della nostra civilta”.

Negli ultimi due o tre anni queste certezze si sono incrinate. Vi e’ stata, innanzitutto, la rottura di quel miracolo industriale che aveva oscurato ogni altro problema, ogni altra debolezza. Si e’ improvvisamente arrestata la crescita economica per la quale, ad esempio, il reddito pro capite della Corea era quasi decuplicato in trent’ anni. Calo della produzione; comparsa della disoccupazione; fallimenti bancari e industriali; interventi di emergenza del Fondo monetario internazionale e sostegno dei Paesi occidentali. Il malessere economico ha rivelato altri malesseri e altre mancanze. Sono apparsi gli intrecci pericolosi tra interesse pubblico e interesse privato. Si e’ visto che i confini tra politica, economia, amministrazione sono incerti e arbitrari; cosi’ quelli tra imperio della legge ed esercizio del potere. Le istituzioni dello Stato sociale sono assenti. Il passaggio alla democrazia e’ ancora lontano in molti Paesi, fragile in altri. La manipolazione e l’ inquinamento della natura producono malattie e immani catastrofi, dette impropriamente “naturali”.

Sono ritornato in Cina, Corea, Giappone dopo oltre un anno di assenza. Trovo Paesi dove le persone che hanno responsabilita’ interrogano e s’ interrogano. La baldanzosa sicurezza e’ divenuta dubbio e ricerca. Forse per la prima volta, in una generazione e anche piu’ , l’ Europa desta stupore, colpisce l’ immaginazione e fa riflettere. Ancora tre anni fa autorevoli esponenti del mondo finanziario di Tokio, persone che visitano l’ Occidente con frequenza, erano del tutto incredule sulle prospettive dell’ Unione monetaria. In alcuni l’ idea suscitava addirittura ilarita’ .

L’ avvio dell’ euro ha come aperto gli occhi. E’ giunto quasi inatteso e ha innescato riflessioni e paragoni che oltrepassano i campi della moneta e dell’ economia. I Paesi asiatici diversi dal Giappone hanno sciolto il legame delle loro monete col dollaro solo nell’ ultimo biennio, dopo che le loro economie avevano gravemente sofferto per l’ apprezzamento della valuta americana. Le monete europee si sono invece staccate dal dollaro quasi trent’ anni fa, hanno poi fluttuato, si sono quindi ancorate al marco, hanno infine con questo dato vita a una moneta unica. Lo yen, la moneta della piu’ forte economia asiatica, non si e’ neppure lontanamente avvicinato a un ruolo guida nella sua regione; lo hanno impedito circostanze monetarie ed economiche, ma soprattutto ragioni politiche e storiche su cui proprio l’ avvento dell’ euro e il confronto Asia – Europa inducono a meditare. Quando a Tokio, o a Pechino, o a Seul, si ricorda che l’ euro significa la scomparsa di monete che hanno avuto storie di generazioni e di secoli in Paesi a lungo nemici, i nostri interlocutori riflettono. Misurano il senso di cio’ che l’ Europa ha compiuto negli ultimi cinquant’ anni, a partire da una storia di invasioni e crudelta’ simile alla loro, edificando sulle rovine della stessa guerra che ha distrutto anche il Giappone.

Comprendono, come forse non avevano compreso prima, che l’ Europa ha avuto una rinascita politica, oltre che economica; che la memoria del passato, non la sua cancellazione, ha aiutato la Germania a costruire coi vicini una comunita’ di pace e di diritto; che le istituzioni sovranazionali dell’ Unione europea, non solo le realizzazioni economiche, sono il presupposto della moneta unica; che unioni e accordi regionali sono elementi essenziali della cooperazione internazionale in un mondo nel quale esistono circa duecento Stati sovrani.

L’ interesse particolarmente vivo dei Paesi est – asiatici verso l’ Europa, le sue attuali realizzazioni, il significato delle sue istituzioni e del suo progetto di unione politica e’ direttamente legato alle domande che essi si pongono sul futuro della loro societa’ , del loro sistema politico, della loro area geografica; non e’ semplicemente l’ espressione di una routine di rapporti internazionali.

Condivido l’ opinione di chi ritiene che l’ Asia stia vivendo solo una pausa, non l’ esaurimento, della sua ascesa nella storia mondiale contemporanea. Tradizione di civilta’ , livelli di istruzione, qualita’ delle classi dirigenti, etica del lavoro, senso dell’ ordine sociale, memoria privata di sofferenze e ingiustizie sono forze che faranno superare le difficolta’ e colmare i ritardi. Lo suggeriscono le stesse incertezze e gli interrogativi che oggi la percorrono, perche’ il progresso si fonda sull’ insuccesso cosi’ come la coscienza sul peccato. Lo suggerisce anche l’ attenzione dell’ Asia per cio’ che sta avvenendo in quella sua estrema penisola occidentale che si chiama Europa.

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Data
14 marzo 1999
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera