Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 27 gennaio 1998

Socrate e le 150 mila leggi

Il tentativo di riformare la nostra Costituzione riprende il cammino. Se al cittadino, all’imprenditore, al funzionario pubblico fosse concesso – come nelle favole – di esprimere un solo desiderio per l’esito di quel tentativo, ritengo che essi dovrebbero indicare, e i piu’ forse indicherebbero, il seguente: la semplificazione delle leggi.

Riformare la Costituzione in modo da conseguire tale risultato vorrebbe dire aver trovato – come nelle favole – la chiave che apre tutte le altre porte, la risposta che scioglie ogni altro enigma: il funzionamento della giustizia come l’etica negli affari privati e pubblici; lo scontento del Norditalia come la riduzione del ruolo dello Stato; l’articolazione ordinata in norme europee, nazionali, regionali; perfino la stabilita’ del governo e il rapporto tra governo e Parlamento.

Stupisce e preoccupa che la semplificazione delle leggi, il problema dei problemi, non abbia avuto, in tutti questi mesi, lo spazio centrale che meritava nel pur ampio dibattito sulla Bicamerale. C’e’ ancora tempo per rimediare.

L’Italia – sono stime della Commissione Cassese del 1993 – ha tra le 100 e le 150 mila leggi. La Francia poco piu’ di 7.000, la Germania meno di 6.000. Impossibile conoscerle. Perfino la Corte Costituzionale ha dovuto dichiarare inoperante il principio che l’ignoranza della legge non costituisce giustificazione per chi la viola: un fatto terribile, ricordato pochi giorni fa dal Procuratore Generale presso la Cassazione dinanzi alle massime autorita’ della Repubblica. Che cosa avrebbe fatto il Socrate del “Critone” se nel suo dialogo con le leggi avesse avuto 150 mila interlocutori?

Nella giungla di leggi innumerevoli, contraddittorie, incomprensibili, sconosciute si perde il bene primario della giustizia, si nascondono gli illeciti privati e gli arbitrii pubblici, prosperano la corruzione e l’inefficienza, si confondono gli onesti coi disonesti.

Alla vita economica italiana una legislazione ipertrofica e farraginosa impone un costo altrettanto insopportabile della elevata tassazione. L’impresa, l’artigiano, il professionista profondono tempo e denaro nell’adempimento di norme inutili, troppo numerose, minuziose, ambigue. Sono risorse che non servono a nulla; se liberate generebbero investimenti e qualita’ di vita migliore. Una societa’ vitale ha bisogno di buoni meccanismi per distruggere, non solo per costruire.

La semplificazione delle leggi ha almeno tre aspetti.

Primo, codificazione. E’ la creazione di codici e testi unici organici per materie che, senza modificare il contenuto del diritto vigente, ne rendano semplice e chiara la redazione. Un esempio: il Testo Unico del credito, che nel 1993 ha sostituito 150 articoli di una sola legge a 1500 articoli disseminati in 141 leggi.

Secondo, delegificazione. E’ il passaggio di norme dal rango della legislazione primaria a quello della legislazione secondaria: decreti e circolari ministeriali, regolamenti delle autorita’ di settore, norme di poteri locali. E’ il campo piu’ delicato. Si e’ giustamente detto che per il soggetto chiamato a rispettarle conta piu’ il totale delle norme che la distribuzione di esse tra primarie e secondarie. E’ vero: le leggi che delegificano devono percio’ orientare il legislatore secondario, obbligarlo a semplicita’, chiarezza e trasparenza, limitarne l’ardore sublegislativo.

Ma e’ vero solo in parte, perche’ anche a parita’ di numero totale, di chiarezza e di accessibilita’, un corpo di norme stratificato e’ piu’ flessibile, dunque adattabile al mutare delle esigenze, dunque protetto contro il rischio dell’ipertrofia. Ed e’ meglio conoscibile, perche’ i diversi livelli della legislazione si rivolgono spesso a diversi soggetti. L’amministratore delegato di una grande impresa deve conoscere la legge; i regolamenti basta che li conoscano i suoi uffici.

Terzo, liberalizzazione. Significa, semplicemente, abolire prescrizioni che non hanno ragione d’essere, sostituendole con liberta’ dei comportamenti, compresi quelli della autoregolamentazione. Esempio recente: la liberalizzazione del commercio.

Per realizzare una semplificazione delle leggi lungo tutte e tre le direttrici occorre un vasto e durevole concorso di volonta’, forze, strumenti: governo, Parlamento, Alta Amministrazione, giuristi, associazioni di categoria, autorita’ di settore, poteri locali. Ma occorrono anche, qui sta il punto, disposizioni costituzionali diverse sia da quelle attuali sia da quelle finora elaborate dalla Bicamerale.

La Costituzione del 1948 prevedeva, per come era scritta, che la legge primaria fosse necessaria solo in poche materie, espressamente indicate. Per tutto il resto il governo poteva procedere con decreti. Cosi’ i governi e i Parlamenti non fecero; essi legiferarono e sollecitarono leggi la’ dove bastavano decreti. E la via della ritirata e’ ora sbarrata dal principio secondo cui solo una legge puo’ modificare una legge.

Il progetto della Bicamerale, pur migliorato nel dibattito dell’autunno, non toglie lo sbarramento.

Se la riforma costituzionale si limitera’ alla redazione attuale dell’articolo 98, per l’intero corpo delle nostre 150 mila leggi, le tre strade – codificazione, delegificazione e liberalizzazione – potranno essere percorse solo dal Parlamento stesso; o dal governo esclusivamente sulla base di espresse deleghe rilasciate caso per caso. La procedura e’ troppo lenta e complessa per consentire alla generazione di chi oggi ha vent’anni di vivere almeno la propria vecchiaia in un mondo di poche leggi semplici. Occorre dunque altro, ed e’ questo “altro” che si spera di veder uscire dal lavoro costituente che resta da compiere. Dove trovarlo? Forse lo si trova negli archivi di passati tentativi di riforma costituzionale.

Otto anni fa il Senato discusse e approvo’ un disegno di legge costituzionale che dava al governo potere di decretazione in tutti i campi per i quali la Costituzione non formula una esplicita riserva di legge, anche se in quei campi era nel frattempo cresciuta la giungla delle leggi.

In pratica, un ritorno alla Costituzione. La restituzione del potere della grande legislazione a un Parlamento oggi immobilizzato, come Gulliver, dai fili della piccola legislazione. La restituzione al governo del potere di delegificare, riordinare, semplificare, accorpare organicamente l’immensa congerie di leggi che i padri costituenti avevano ritenuto non necessarie.

Quel progetto non concluse il suo iter perche’ si fermo’ alla Camera e mori’ con la legislatura. Ma la sua validita’ resta intatta. E costituisce il pezzo mancante della riforma costituzionale.

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Data
27 gennaio 1998
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera