Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 25 febbraio 2001

Questione di classe (dirigente)

Competitivi in Europa


Il tema della competitività pervade il discorso sull’ Italia. Non è nuovo, ma si presenta in termini diversi dal passato. Sembra esclusivamente economico, ma investe ogni altra sfera della vita associata: politica, giustizia, amministrazione, scuola, cultura, costume. La sua stessa nozione, semplice se riferita a un’ impresa (saper produrre e vendere a condizioni migliori dei concorrenti), diviene elusiva se riferita a tutt’ un Paese.

La competitività di un Paese è, per definizione, questione d’ interesse generale e di classe dirigente; impone un riferimento comune a parti diverse, talora contrapposte, dell’ economia e della società. Divenirne consapevoli è un passaggio importante del cammino che l’ Italia sta compiendo verso una matura coscienza di sé.

Dall’ avvio dell’ euro, la crescita dei costi e dei prezzi italiani è circa una volta e mezzo la media dei concorrenti europei. Alla fondata preoccupazione per la continua perdita di competitività si aggiungono il dubbio sulla capacità stessa di stare al passo degli altri e il timore che, per concorrere, gli italiani debbano rinunciare al loro modo di essere. Dubbi e timori comprensibili. L’ Italia, però, non è condannata, e i motivi di fiducia non mancano.

Il nostro Paese ha saputo correggere rapidamente, sorprendendo il mondo, squilibri duraturi e ancora gravissimi pochi anni fa. Politiche macroeconomiche sostenute dai sindacati hanno ridato ai prezzi una stabilità che solo pochi italiani potevano ricordare. I conti pubblici sono stati risanati. Importanti riforme, seppure incompiute, hanno dato più libertà e miglior disciplina ai mercati, favorito lo sviluppo regionale, sollevato lo Stato da funzioni non sue.

Il lungo impegno ha dato i primi frutti proprio sul finire del decennio: i risultati dell’ anno 2000 sono i migliori dall’ inizio degli anni Novanta (prodotto interno lordo +2,9 per cento; posti di lavoro +1,9).

Verso quei risultati l’ Italia era spinta soprattutto da due forze esterne: l’ Europa, che poneva condizioni all’ ingresso nell’ euro, e i mercati finanziari, che giudicavano quotidianamente la nostra capacità di soddisfare quelle condizioni. L’ Italia era quotata alla borsa politica di Bruxelles e a quella finanziaria delle sale cambi.

Oggi, raggiunto l’ euro, quelle due forze si sono ritirate o indebolite. Il mercato e la moneta unica migliorano crescita e stabilità per l’ intera area dell’ euro, ma non distribuiscono a ciascuno un beneficio uguale. Vince di più chi è più bravo. La frusta europea colpisce chi viola le regole, non chi è meno bravo di altri. Se ricreeremo disordine di bilancio, l’ Europa ci punirà; se regrediremo per incapacità di concorrere, essa starà a guardare.

Solo un’ Italia più competitiva riuscirà ad accelerare la crescita, far uscire il Mezzogiorno dal suo ritardo, allargare l’ ingresso nel mercato del lavoro, offrire fiducia ai giovani, essere padrona del suo futuro. Proprio in questo tipo di contesa essa (come oggi Spagna, Portogallo, Irlanda, Olanda) ha primeggiato per molti, molti anni; e crescendo a ritmi nettamente superiori alla media europea, ha recuperato secolari ritardi. Nulla esclude che ciò avvenga di nuovo.

Ma la bravura, la competitività, ogni Paese oggi deve sapersele dare da sé, con volontà, intelligenza delle situazioni, forte senso dell’ interesse generale. Questo l’ Italia seppe fare nei primi anni del dopoguerra. Come allora, lo stimolo a far bene deve venire da forze interne: imprenditori, sindacati, intellettuali, magistrati, politici al governo e all’ opposizione, funzionari pubblici, giornalisti. Forze e persone che formano la classe dirigente. La nozione di competitività è loro preziosa per definire l’ obiettivo cui, pur nella diversità delle opinioni individuali e degli interessi di categoria, devono guardare per far progredire il Paese.

La classe dirigente non è la classe politica, anche se chi opera in politica ne fa parte. Tanto meno è un partito; non cambia al volgere dei risultati elettorali; non è, se non in minima parte, eletta dal popolo né nominata dal governo. Non è neppure un blocco di potere, perché primo requisito per assolvere bene il proprio compito quando se ne fa parte è la totale indipendenza dal giudizio individuale. Addirittura l’ indipendenza dal proprio interesse particolare.

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Data
25 febbraio 2001
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera