Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 8 giugno 2004

Quali primarie per l’Italia

La scelta dei candidati e il modello Usa


Mentre le cronache narrano l’ investitura di Kerry a Boston, in Italia si riapre il dibattito sulle primarie. È sperabile che non muoia subito, come quattro anni fa, perché esso tocca una questione essenziale del buon governo. Avanzo qualche riflessione da osservatore distaccato.

Milioni di cittadini praticano la democrazia scegliendo tra Blair e Howard o tra Schröder e Stoiber; ma chi decide che siano in lizza proprio loro e non altri? È sorprendente che la prima linea della democrazia – la scelta del governo – riceva tutta l’ attenzione; mentre la seconda – la scelta dei candidati – sta in ombra.

Anche in Paesi di consolidate tradizioni civiche, la procedura di scelta dei candidati è tuttora sregolata, opaca, spesso improvvisata. È il regno della politica privata, non di quella pubblica; la partecipazione popolare è assente. Eppure, da questa procedura dipendono il vaglio delle credenziali etiche, di carattere e di competenza di chi governerà, la sua legittimazione, l’ autorità sui suoi, il programma di governo. La decisione stessa di molti cittadini se andare o no a votare, o se impegnarsi nella vita pubblica, non è estranea alla qualità di chi è in politica.

Nelle democrazie di oggi, il governo lo scelgono i cittadini; il candidato, la classe politica. Si può criticare questa prassi come una forma di suffragio ristretto, una violazione del principio «una testa, un voto». Ma si può invece apprezzare che chi dedica alla politica maggiore impegno, attenzione, passione, abbia anche più influenza.

Pur lasciata alla classe politica, la seconda linea della democrazia può essere organizzata in modi diversissimi, con effetti ottimi o pessimi. Un motivo è che «classe politica» può significare: gli iscritti a un partito, i quadri dei funzionari, i segretari, i finanziatori, gli stessi aspiranti candidati.

Della sua giovane democrazia l’ Italia fatica da anni a organizzare non solo la prima, ma anche la seconda linea; e le fragilità dell’ una si ripercuotono sull’ altra. Per decenni – decenni di governi parlamentari, sistema proporzionale e partiti-ideologia – la prima linea decideva i partiti vincitori, tutto il resto avveniva nella seconda linea.

Col referendum del 1993 l’ elettorato avocò a sé la scelta di chi governa. Fu certo un passo avanti della democrazia. Ma anche un passo insidioso, per un mondo di personalizzazione della politica, lizza tra coalizioni anziché tra partiti, fine dei partiti ideologici, tramonto della militanza, assenteismo dal voto, televisione, sondaggi. Che la scelta dei candidati resti alla classe politica è una garanzia di equilibrio del sistema politico, ma richiede un metodo nuovo, che sia coerente con l’ oggi.

Quale metodo? Come identificare un «corpo elettorale dei candidati», così come c’ è un corpo elettorale dei governanti? Primarie all’ americana sembrano impossibili in una società dove il cittadino non è collegato, in quanto elettore, a un partito (come in America) e le iscrizioni ai partiti sono poche, non certificate, prive di militanza.

Non potrebbe il corpo elettorale dei candidati essere formato – con modalità da studiare – da coloro che sono stati eletti a cariche pubbliche, nelle sedi centrali e locali, per l’ uno o l’ altro dei partiti che, riuniti in coalizione, aspirano al governo? In Italia essi sono migliaia, distribuiti in tutta la penisola, obiettivamente identificabili, facili da censire, di comprovato impegno civico, di chiara appartenenza politica, legittimati dal voto popolare.

In nessun sistema la seconda linea della democrazia è pubblica, intelligibile, drammatica, come in America. Ma nessuna democrazia può operare bene senza una seconda linea efficiente.

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Data
8 giugno 2004
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera