Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 5 novembre 2000

Molte patrie e tutte amate

L’Italia, la propria regione, l’Europa


In Italia è in corso un dibattito che, nonostante qualche confusione e concitazione, può ben dirsi tra i più importanti e seri degli ultimi decenni. Sembra un coacervo di discussioni sconnesse, spesso innescate dal fatto del giorno: il giuramento dei governatori, gli statuti regionali, la Carta dei diritti, la Costituzione europea, la morte della patria. In realtà è un unico dibattito sulla grande questione della natura e ragion d’ essere della «cosa pubblica»: il potere delle istituzioni, il significato della cittadinanza, il rapporto tra persona, società e sistema politico.

Anche altrove, in Europa, antichi Stati accentratori creano poteri locali autonomi (la Catalogna, la Corsica, la Scozia) e addirittura patiscono violenti separatismi (i baschi, i nordirlandesi). Stranamente, sono gli Stati unitari di più recente formazione, come la Germania e l’ Italia, quelli dove il travaglio è minore.

In Italia il processo è reso più vivo e potenzialmente più fecondo da circostanze specifiche. Innanzi tutto, la questione tocca con uguale intensità, e contemporaneamente, tre ambiti: la Regione, lo Stato, l’ Unione Europea. In secondo luogo, abbiamo negletto il senso nazionale per molti decenni e solo ora forse lo riscopriamo. Infine, le contrapposizioni ideologiche e la negazione, a questa o quella formazione politica, del diritto di interloquire sono tramontate solo da poco.

A quale ambito attribuire il nome di nazione, di patria? E che significato dare oggi a queste parole? Il dibattito, in fondo, verte su questo. Ebbene, vorrei suggerire che si eviterebbero confusioni e chine pericolose se si riconoscesse che ogni persona sempre appartiene a più di una comunità, e che un’ appartenenza non è esclusiva di altre. Si può essere, si è, ci si sente, contemporaneamente buoni fiorentini, toscani, italiani, europei; e quando compare sullo schermo un affamato contadino africano lo si sente fratello. La molteplicità delle appartenenze è una realtà. Se gli ordinamenti politici sono ben concepiti essa non lacera la persona. Essa riflette la poliedricità della persona ed è un insostituibile antidoto all’ assolutismo dello Stato, all’ oppressione politica: tutti gli Stati autoritari sono accentratori. L’ appartenenza esclusiva della persona a una sola entità politica (non importa se Regione o Stato), quella sì è sacrificio dell’ identità e pericolosa premessa di ogni sistema autoritario. Il Superstato non è lo Stato geograficamente grande, ma quello che pretende di essere unico ed esclusivo governante dei suoi cittadini. Lo Stato federale (nazionale, europeo) è quello che ha estirpato da sé i germi dell’ oppressione.

Di unico e indivisibile vi è solo la persona, l’ individuo appunto. Collettivamente, e attraverso la regola della democrazia, gli individui possono assicurare la coerenza di un ordine politico a più livelli.

Se nella scuola italiana ancora si imparassero testi a memoria, sarebbe bello che nessuno potesse diplomarsi senza conoscere a memoria le parole con cui, 70 anni fa, Benedetto Croce chiudeva la sua Storia d’ Europa: «Per intanto, già in ogni parte d’ Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che, or sono 70 anni, un napoletano dell’ antico Regno o un piemontese del Regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’ esser loro anteriore ma innalzandolo e risolvendolo in nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzeranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all’ Europa, e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma meglio amate».

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Data
5 novembre 2000
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera