Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 26 agosto 2001

Le due barbe di Bismarck

Giovani, sindacati e finanziamenti


Come un incendio estivo, non si sa se spontaneo o provocato, una nuova disputa è divampata in quel vasto edificio che è la questione del lavoro. Questione davvero bruciante perché la disoccupazione è elevata, pochi gli italiani contati nella popolazione attiva, difficilissimo il passaggio dei giovani dalla scuola al lavoro, profondo il disaccordo anche entro uno stesso partito o sindacato. Dei molti comparti dell’ edificio, quello che ha preso fuoco si chiama «licenziamento»: forse non il più bisognoso di modifica legislativa, ma probabilmente il più angoscioso. Sono in discussione le condizioni nelle quali un’ impresa possa licenziare uno o più suoi dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Ci si può chiedere quale significato abbia la disputa per la popolazione italiana che oggi ha meno di 35 o 40 anni. Essa forse non ne comprende nemmeno il lessico, che pare linguaggio comune e invece è gergo. In essa pochissimi sono i titolari di un contratto a tempo indeterminato. Pochissimi gli iscritti al sindacato. Molti coloro che dopo studi anche brillanti hanno conosciuto anni di penoso far niente o mortificanti attività di ripiego. Molti, stando alle statistiche, i disoccupati; pochi, per fortuna, gli indigenti e i poveri.

Per circa un secolo, da quando nel 1848 Marx ed Engels lanciarono il grido «proletari di tutto il mondo unitevi!», la questione sociale ha dominato la vita politica in tutti i Paesi d’ Europa. Si può misurare il punto da cui si partì ricordando che in quello stesso anno una legge francese, approvata sull’ onda dei moti popolari, fissò in 12 ore il limite della giornata lavorativa per chi avesse meno di 16 e più di 12 anni.

Lungo l’ arco di circa cinque generazioni (un tempo brevissimo, la cui memoria si trasmette oralmente dai nonni ai nipoti) è cessato lo sfruttamento sistematico del lavoro. La profezia del fatale impoverimento del proletariato è stata smentita. Si sono compiuti, per i lavoratori, enormi progressi di benessere, sicurezza, tutela giuridica. Sono apparse anche forme nuove di disoccupazione, quelle che oggi prevalgono e che colpiscono soprattutto i giovani; frutto, in parte, di quegli stessi progressi. Nell’ era dello sfruttamento non si poneva al sindacato l’ ardua scelta tra il lavoratore e il disoccupato. Oggi sì.

La legislazione che in tutti i Paesi dell’ Europa continentale protegge il dipendente dal rischio di licenziamento ingiustificato è una delle più gloriose conquiste dei lavoratori, uniti nel sindacato. Prima il contratto stesso di lavoro a tempo indeterminato, poi la condizione di «giusta causa» per licenziare, hanno segnato il culmine del successo di quelle lotte e del comandamento «unitevi!» lanciato nel 1848. Quel culmine si è collocato, per l’ Italia, circa trent’ anni fa con lo Statuto dei lavoratori.

Proprio allora, la realtà del lavoro umano iniziava a cambiare sempre più in fretta, rendendo sempre meno fungibili le prestazioni di lavoro, sempre più mutevoli le capacità richieste e le tecniche produttive, più necessarie la formazione permanente e la riconversione. Per un’ eterogenesi dei fini lavoratori e sindacati divennero, in misura crescente, prigionieri del territorio conquistato.

Di fronte ad una situazione che mutava, gran parte dell’ attività sindacale si volse alla difesa strenua e sempre più costosa della posizione raggiunta. Da quella posizione vi furono piccoli spostamenti; ma la combinazione di un’ economia nuova e di una tutela arcaica produsse, nei giovani, disoccupazione e sfiducia verso il sindacato. Nello stesso tempo quegli spostamenti furono sentiti, da gran parte del mondo sindacale, come arretramenti da un avamposto gloriosamente espugnato, concessioni all’ avversario di classe.

Avrebbero potuto invece essere viste come conquista del mondo nuovo del lavoro, dove le nozioni antiche di posto, impiego, mansione, giusta causa, sicurezza, rischio, assumono profili diversi dal passato. Poche le ritirate di Dunkerque, molte le vittorie di Pirro. E a quelle vittorie contribuirono magistrati, intellettuali, dirigenti privati e pubblici, divenuti – forse nel momento meno adatto – araldi di una cultura creata, in tempi davvero difficili e spesso contro di loro, dal movimento dei lavoratori.

Non possono allora essere sottovalutate, talvolta quasi trattate con sufficienza, le immense difficoltà che la dirigenza sindacale trova a mutare rotta. Essa vive il travaglio del cambiamento in corso, comprende che oggi le battaglie sono diverse da quelle vinte ieri. Sente che la concorrenza tra i lavoratori è ormai un dato fisiologico. Sa che anche la concorrenza tra sindacati, predicata da Einaudi già negli anni Venti, è divenuta realtà, nonostante il tenace tentativo di celarla. Ma stenta a inventare le nuove vie della solidarietà sul lavoro. Fatica a distinguere tra l’ irreversibile conquista di uno statuto dei lavoratori e la cementificazione di ogni norma e interpretazione di quello statuto. Non sa persuadere i giovani dell’ utilità di un sindacato, comprenderne le domande, parlarne la lingua. Non comprende che per essi un contratto a tempo indeterminato con rischio di licenziamento è meglio di un contratto di sei settimane. Conosce il peso impossibile caricato sulle loro spalle dal regime delle pensioni e tuttavia non riesce nemmeno a dare loro abbastanza lavoro per affrontarlo. Cede alla tentazione di rifugiarsi nella rendita del conservatorismo o di evadere verso la politica.

Preoccupa pensare che nell’ Europa continentale stia forse nascendo un mondo del lavoro senza sindacato, nel quale i licenziamenti avverrebbero senza alcun suo coinvolgimento. Nelle fibre del tessuto sociale s’ indebolirebbero i valori civili, gli stimoli innovativi, la solidarietà. Eppure questo è il mondo che i giovani italiani sembrano preparare, mentre il sindacato sembra ostaggio di una generazione d’ iscritti che sta uscendo di scena.

In quel lontano 1848, Bismarck era di sangue caldo e d’ idee libertarie. Si fece crescere la barba per darne un segno visibile. Decenni dopo, quella sua stessa barba era divenuta l’ immagine di un conservatore. Ma intanto, con una legislazione sociale audace, egli aveva dato alla Germania quel patto di solidarietà tra generazioni che l’ Italia fatica tanto a stringere.

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Data
26 agosto 2001
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera