Il cittadino e la politica
Le primarie, al di là delle sortite del Pd.
Nella giornata di oggi gli italiani disposti a dichiararsene elettori possono, spendendo due euro, scegliere il capo di uno dei due partiti politici che si contendono il governo del Paese. Anche prima che si sappia quanti risponderanno all’invito e chi sarà l’eletto, l’avvenimento merita una riflessione.
È inconsueto che un partito si rivolga a tutti i suoi elettori per scegliere il proprio capo. Ovunque, questa scelta la fanno militanti iscritti, che partecipano attivamente (o così dovrebbero) alla vita del partito, al dibattito interno, alle campagne elettorali. Le primarie, dove ci sono, riguardano non la guida del partito bensì quella del governo, per la quale, del resto, designano solo un candidato.
La procedura inconsueta è il sintomo certo, e il rimedio sperato, di un grave male che oggi mina la democrazia, non soltanto la nostra: un corrompimento del rapporto tra popolo e potere, che si manifesta in entrambi i versanti della demo-crazia. Dal lato del Kratos, osserviamo il male quando chi esercita il potere (o si propone per esercitarlo, dunque anche il partito all’opposizione) dimentica un punto essenziale: che ben-governare significa, certo, non opprimere il popolo, ma significa anche non assecondarlo sempre e tantomeno blandirne gli istinti peggiori. Dal lato del Demos, il corrompimento consiste nell’indifferenza, nel biasimare il potere senza mai criticare se stessi, nell’accettare l’inganno populista sentendosene vittime anziché corresponsabili.
La democrazia definisce la scelta di chi governa, non dice che cosa significhi governare: governare significa — per l’appunto —guidare, dunque rendere il popolo consapevole di dure necessità, persuaderlo ad accettare il prezzo per realizzare speranze e vincere sfide.
Nella società vi è assai di più che il popolo e i potenti; e per curare i mali della democrazia è essenziale guardare anche a strutture che stanno tra il Demos e il Kratos. In Italia, sono proprio esse ad avere maggiormente mancato: in primo luogo i partiti e la classe dirigente. Credere che il buongoverno democratico sia possibile senza l’opera attiva di queste strutture intermedie sarebbe un fatale errore.
Il fatto che oggi il gruppo dirigente di un partito guardi al di fuori di se stesso e chiami chi lo desidera a dare una mano dovrebbe perciò essere salutato con favore da ogni cittadino. È segno che quel gruppo dirigente risponde al sintomo e cerca un rimedio. Altrettanto positivo è che si tratti di un’elezione vera, dall’esito incerto.
Le primarie saranno anche rimedio, oltre che sintomo? Non lo sappiamo. Dipenderà innanzitutto dall’affluenza di oggi. Meglio sarebbe stato, a mio giudizio, legare la partecipazione a un’adesione di simpatia meno stringente del dichiararsi elettore di un partito che, agli occhi di molti, il voto deve ancora guadagnarselo.
La campagna delle scorse settimane non ha aiutato a capire come sarà il partito di domani e che differenza faccia—su questioni fondamentali—la scelta che oggi si pone. Ma proprio per questo tutti, destra e sinistra, dovrebbero auspicare una forte partecipazione di cittadini (dis)interessati; cittadini a cui la politica sta a cuore, che si accostano
ad essa per passione dell’interesse pubblico, non per interesse privato.