Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 27 ottobre 2001

I “valori borghesi” senza aggettivo

Che cosa unisce le culture

Ieri all’ Università di Padova è stata assegnata la laurea honoris causa in Scienze politiche a Tommaso Padoa-Schioppa, membro del Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea. Dal discorso tenuto offriamo qui uno stralcio


Nel tragico crescendo di qualche settimana, Göteborg, Genova, New York hanno annunciato a chi era distratto una malattia che potremmo definire così: il contrasto tra ciò in cui il mondo è già unito e ciò in cui è diviso. Delle tre grandi sfere dell’ attività umana – economia, politica, cultura – è indubbiamente l’ economia quella che più rapidamente ha travalicato le frontiere degli Stati. Ma per dare pace, libertà, benessere, giustizia l’ affermarsi del mercato è condizione necessaria ma non sufficiente. Non è sufficiente per il consorzio umano, così come non lo è per un villaggio o uno Stato. Confutare la sufficienza del mercato vuol dire che nessun rimedio ai guai della mondializzazione sarà adeguato se non comprenderà significativi progressi verso un ordine politico che sia, anch’ esso, mondiale.

A un certo momento della storia dell’ Occidente la parola «unione» fu usata per definire un ordine politico. Dapprima unione personale, di territori diversi sotto unica corona (in Spagna, nelle isole britanniche), poi di popoli dislocati in province contigue (nei Paesi Bassi).

In quegli ambiti si riconosceva, o s’ intendeva edificare, un’ unità non solo politica, ma anche di cultura. La cultura si sviluppava prevalentemente in ambito religioso, diversamente che nell’ impero romano, il quale tuttavia abbandonò il sincretismo e praticò la persecuzione quando si sentì minacciato dal Cristianesimo. Solo nell’ età moderna e negli Stati di tradizione cristiana maturò la separazione tra potere politico e religioso e con essa l’ emancipazione della cultura dal potere politico.

Occorre chiedersi se sia possibile un’ unione politica del mondo senza alcun punto d’ incontro nel campo della cultura. La risposta è: no, non è possibile. Come un sistema di produzione e scambi esige, per il proprio funzionamento mondiale, regole e poteri che lo governino, dunque una politica, mondiale, così una politica mondiale presuppone che alcuni suoi principi fondatori siano universalmente condivisi, dunque un punto d’ incontro nella cultura. Il contratto sociale del mondo può essere scritto in più di un modo; ma qualunque ne sia la redazione, le idee, dunque la cultura, che lo ispirano dovranno essere condivise dai contraenti.

Oggi constatiamo che proprio sulla separazione tra cultura e politica, tra potere religioso e politico, la divisione del mondo è tanto aspra da far scorrere il sangue e minacciare la sicurezza di tutti. In Afghanistan, otto cooperatori (medici dediti a soccorso umanitario) rischiano una condanna a morte perché trovati con la Bibbia in arabo e con crocifissi. Il delitto è chiamato «proselitismo».

Quali sono i veri contorni di tale delitto? Il rispetto della libertà dell’ altro consisterebbe nel tacergli la nostra verità? O non è questa una mancanza di rispetto? Commentando il caso il ministro degli Esteri afgano, Muttawakil, osservò: «Noi crediamo di essere qui al servizio dei diritti umani, ma vi è una piccola differenza di definizione. Noi crediamo in diritti secondo l’ Islam e se qualcuno cerca di imporci la sua definizione commette un tristo errore, perché questo non è il mondo di una sola cultura e una sola religione».

Ho parlato di punto d’ incontro nella sfera della cultura, non di cultura comune. Come non tutta l’ economia è mondiale, così non tutta la politica e tutta la cultura possono o debbono essere unitarie perché vi possa essere pace nel mondo. Se è vero che un ordine politico mondiale non è possibile senza un minimo credo condiviso in campi fondamentali della filosofia politica e del diritto, è anche vero che il mondo è e resterà multiculturale. Quell’ ordine non può e non deve proporsi di bloccare i processi di reciproca influenza, le osmosi, le contaminazioni che segnano la storia e spesso ne connotano i momenti più alti. Deve impedire le conversioni forzate, non le libere conversioni; la soppressione delle lingue locali, non la loro lenta caduta in desuetudine; la sopraffazione del più forte, non l’ adesione alla soluzione migliore.

Non mi sfugge, a nessuno può sfuggire, quanti quesiti e quali insidie si annidino in ognuno di questi termini (libertà, sopraffazione, adesione, soluzione migliore, eccetera), quante difficoltà incontri una loro corretta applicazione. Ma le difficoltà non sono certo eliminate da formulazioni più rudimentali.

Le regole di convivenza che l’ Occidente ha lentamente perfezionato, spesso attraverso fatali errori, sono imperfette e bisognose di vigile applicazione; ma sono pur sempre quelle per cui Mandela, Sacharov e Gandhi hanno patito il carcere, gli studenti cinesi sono morti a Tienanmen, i boat people sono fuggiti dal Vietnam, le donne iraniane o algerine sono state lapidate. Non sono valori «europei» o, si diceva una volta, «borghesi», opposti a valori «asiatici», «socialisti» o «islamici»: sono valori senza aggettivo.

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Data
27 ottobre 2001
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera