Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 14 giugno 1998

Costituzione da emendare, non da rifare

Quattro temi di riforma


Mentre avvengono i piu’ profondi mutamenti costituzionali della nostra storia repubblicana, forse muore il terzo tentativo di riscrivere la Carta del 1948. La contraddizione e’ solo apparente, perche’ i cambiamenti attuati in questi anni per altre vie, diverse dalla riscrittura, hanno di molto attenuato la pressione a riscrivere.

Eppure il mutamento costituzionale di cui l’Italia ha bisogno e’ tuttora incompiuto e sembra arduo realizzarlo per intero senza emendare la Costituzione.

Quali sono i mutamenti che presuppongono emendamenti? E come realizzarli se la via della Bicamerale si e’, per la terza volta in quindici anni, rivelata impraticabile?

Se chiamiamo “costituzione” la parte non ricontrattabile del contratto sociale, quella che governo e Parlamento non possono modificare nell’ordinario esercizio dei loro poteri, allora e’ chiaro che la Costituzione non e’ fatta del solo testo scritto, che del resto in certi Paesi neppure esiste. Comprende anche la prassi di esercizio del potere; le tradizioni interpretative; altri testi che, come i trattati europei, vincolano i poteri nazionali; alcune regole fondamentali, come quelle elettorali, che pur sono scritte in leggi ordinarie o addirittura in regolamenti parlamentari.

Dopo le elezioni politiche del 1992 la Costituzione italiana, cosi’ intesa, si e’ profondamente trasformata: sistema politico di alternanza fondato sul voto maggioritario, ruolo centrale del capo dello Stato, trasferimento all’Unione europea del potere monetario e della disciplina di bilancio, trasformazione dei poteri locali. Tutti cambiamenti rilevantissimi, imposti dalla grave e progressiva perdita di efficienza, equilibrio economico, moralita’ pubblica.

Poiche’ avvertiva l’improrogabilita’ di quei cambiamenti, l’attuale capo dello Stato propose, nel momento stesso del suo insediamento, di riformare la Costituzione per mezzo di una (seconda, dopo quella Bozzi) commissione bicamerale.

Ma il calendario dell’Unione monetaria, i magistrati di Milano, i cittadini chiamati al referendum antiproporzionale, la stessa presidenza della Repubblica si sono rivelati agenti del cambiamento costituzionale piu’ rapidi e piu’ efficaci della riscrittura tentata dalla seconda e poi dalla terza Bicamerale. La Repubblica di oggi e’ molto diversa da quella di sei anni fa sebbene il testo del 1948 non sia mutato di una virgola.

Al mutamento istituzionale ha contribuito la stessa Bicamerale. E’ li’ che le forze politiche, trovando un terreno comune di confronto, anche se non di accordo, si sono reciprocamente riconosciute degne di governare l’Italia; un riconoscimento che costituisce il primo presupposto di ogni democrazia dell’alternanza, e che cinquant’anni di storia repubblicana non erano riusciti a conseguire del tutto. Paradossalmente, la Bicamerale non ha prodotto una Costituzione nuova ma ha legittimato ancor piu’ quella esistente.

L’opera e’ dunque compiuta? No. Perche’ i tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) funzionino bene, perche’ un popolo che da secoli ne diffida guadagni fiducia in chi lo governa, perche’ si rivoglia l’unita’ della nazione, perche’ l’Italia competa efficacemente in Europa e nel mondo quattro beni essenziali devono ancora essere acquistati e consolidati: continuita’ dei governi scelti dagli elettori, semplicita’ delle leggi, efficienza della giustizia, autonomia e responsabilita’ dei poteri locali (regioni e comuni). E’ difficile stabilire se e per quali di questi beni la Costituzione vigente sia davvero l’ostacolo insormontabile. Ma se dovessi individuare, tra essi, i piu’ bisognosi di emendamento costituzionale, non indicherei i primi due, che pure la Bicamerale ha tanto a lungo dibattuto, mancando infine l’accordo.

La forma di governo e l’ordinamento giudiziario sono sicuramente fronti vitali sui quali la battaglia per un’Italia migliore non e’ ancora vinta. Ma sul primo di essi progressi enormi sono gia’ stati compiuti con la legge elettorale del 1993, del resto perfezionabile con legge ordinaria. E sul secondo, la giustizia, manca ancora la consapevolezza del fatto che il vero problema e’ quello dei suoi tempi, non altri. E’ proprio vero che per risolvere questo problema occorre emendare la Costituzione? Non bastano riforme attuate dal legislatore ordinario e dal Consiglio superiore della magistratura? E perche’ mai dovrebbe realizzarsi in una sede costituente l’accordo che pare irraggiungibile in quelle due sedi ordinarie?

Insomma, la forma di governo e l’ordinamento del Giudiziario erano certamente i temi piu’ scottanti, non quelli dove emendare la Costituzione era piu’ necessario.

Necessario sopra ogni altro e’ invece un intervento che permetta la semplificazione delle leggi. Un intervento di restaurazione, che restituisca all’Esecutivo il potere di piccola legislazione che il testo del 1948 gli aveva dato e che l’iperlegislazione successiva ha sepolto; che restituisca al Parlamento la possibilita’ di concentrarsi sulla grande legislazione.

Un Paese dove per le piu’ minute azioni e ordinazioni devono concordemente legiferare due Camere e’ un Paese in cui, esposto a continue pressioni di frange parlamentari, ogni governo e’ debole e instabile; in cui anche i meglio intenzionati tra i cittadini e le imprese non riescono a stare nella legalita’; in cui i magistrati non conoscono e non riescono a far rispettare la legge. Onde corruzione, arbitrio, decadimento del costume civile e della sicurezza del vivere.

Se non si porta alle 5 – 10 mila leggi della Germania e della Francia l’Italia delle 150 mila leggi, Parlamento governo e magistratura rimarranno poteri malati, quali che siano il sistema elettorale, i poteri del capo dello Stato, l’ordinamento delle carriere dei magistrati.

Una riscrittura e’ forse necessaria anche per attuare il federalismo. Scrivo “forse” perche’ essendo iniziato solo ora un serio utilizzo delle potenzialita’ offerte dalla Costituzione vigente, potremmo accorgerci che esso basta a soddisfare le giustificate richieste di autonomia dei poteri locali. Mentre il leghismo estremo non puo’ e non deve essere accontentato.

Queste sono le esigenze fondamentali da attuarsi emendando, se e dove necessario, il testo del 1948. Altre esigenze, pur numerose e fondate, era naturale caricarle sul treno della Bicamerale, finche’ esso viaggiava. Ma in assenza di quel treno possono forse attendere al deposito senza grave danno per l’Italia.

Come procedere ora? Ritengo che due sbocchi sarebbero ugualmente perniciosi per l’Italia: l’assemblea costituente e l’arresto del processo di riforma in corso – per le diverse vie sopraddette – da ormai sei anni.

Il secondo sbocco sarebbe pernicioso per il motivo semplice che il processo riformatore non e’ compiuto. Se non lo si completera’, anche il gia’ fatto potra’ rapidamente disfarsi.

Per un’assemblea costituente, possibile solo agendo contro, non entro, la Costituzione vigente, mancano i presupposti: non ci sono ne’ un sistema di governo da ricostruire, ne’ una legalita’ da ripristinare, ne’ una sovranita’ da ristabilire. Non c’e’ nessun bisogno di un contratto sociale interamente nuovo. I cinquant’anni della Carta del 1948 sono quelli in cui la liberta’ e il benessere degli italiani sono cresciuti in misura sconosciuta da secoli. Di quella Carta dobbiamo essere fieri, altro che gettarla via. Una rottura di continuita’ storica in un Paese povero di patrimonio istituzionale sarebbe insana. Distruggerebbe, anziche’ completarla, l’opera di questi anni.

Sembra invece utile e possibile procedere verso mete precise (secondo me, le quattro sopra indicate) battendo tutte le strade attraverso le quali una costituzione puo’ cambiare: la prassi, l’interpretazione, le leggi fondamentali, l’emendamento costituzionale (che la Carta del 1948 prevede).

Opera faticosa, richiedente accordi piu’ ampi di quelli che bastano a sostenere un governo. Ma opera necessaria e pagante per la generazione politica presente. Perche’ a essa spetta comunque il compito di definire l’assetto costituzionale del secondo cinquantennio della Repubblica.

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Data
14 giugno 1998
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera