Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 14 novembre 1999

Costituente? Le ragioni per dire no

Emendare, non riscrivere


Emendare la Costituzione o riscriverla? Le cronache di questi giorni parlano di entrambe le cose: approvazione di un emendamento sulla giustizia; nuova proposta (autorevolmente avanzata dal presidente del Senato) di convocare un’ assemblea costituente. L’emendamento e la riscrittura della Costituzione italiana sono talora visti come metodi equivalenti, quasi intercambiabili, per raggiungere lo stesso risultato di migliorare il funzionamento delle istituzioni. Sembrano invece a me due vie diversissime, addirittura opposte. Per vedere la differenza occorre guardare oltre il contenuto tecnico delle eventuali nuove norme costituzionali, e riflettere sul significato storico e civile dei due metodi.

Darsi una costituzione ha significato, per oltre due secoli, costituire le fondamenta della convivenza civile. Dalla convenzione di Filadelfia (1787) dove e’ nata la costituzione americana alla rivoluzione che ha scritto la prima costituzione francese (1791); dalla rivendicazione di una costituzione da parte dei liberali europei nell’ Ottocento alle costituzioni scritte nel Novecento da tanti Paesi all’ indomani di guerre e dittature. Le assemblee costituenti hanno sempre segnato passaggi fondamentali: dal potere assoluto del sovrano a quello del popolo, dalla dittatura alla democrazia, dalla soggezione coloniale all’ indipendenza, dalla sconfitta alla ricostruzione. Passaggi che una societa’ compie quando e’ nel fondo dell’ abisso e vuole uscirne.

In Italia, la Costituzione e’ stata cosa intoccabile e quasi sacra per circa meta’ dei cinquant’ anni trascorsi dalla sua entrata in vigore.

Si puo’ capire il perche’ : quella Costituzione sostituiva uno Statuto concesso da un sovrano assoluto cent’ anni prima, e poi violato da un suo discendente; era la prima volta che il popolo italiano (le donne non avevano mai votato prima) stipulava esso stesso il contratto sociale; era la base da cui l’ Italia cercava il riscatto dalla dittatura e dalla guerra. Si puo’ capire, percio’ , anche perche’ chi metteva in discussione la Costituzione o ne proponeva anche la parziale revisione (fosse egli un politico o uno studioso) venisse accusato di cospirare contro la res publica, non solo contro la Repubblica. Era un’ accusa ingiusta.

Nella seconda meta’ del cinquantennio repubblicano sono stati compiuti senza successo tre tentativi di riforma costituzionale, affidati ad altrettante Commissioni bicamerali (Bozzi, Iotti – De Mita, D’ Alema). L’ insuccesso e’ forse dipeso dall’ aver voluto ogni volta riscrivere piuttosto che emendare.

Emendare la Costituzione dev’ essere difficile, ma non impossibile. Un sistema politico e’ maturo quando ha superato sia la prova dell’ alternanza al potere sia quella dell’ emendamento della sua Costituzione. Ci sono voluti quasi cinquant’ anni perche’ l’ Italia repubblicana superasse la prima prova. Superare la seconda significherebbe realizzare un altro importante rafforzamento della struttura istituzionale italiana. Un sistema politico che realizzi specifici, non snaturanti, emendamenti della Costituzione e’ infatti un sistema nel quale nuove generazioni e nuove forze politiche si dimostrano capaci di rispettare il patto dei padri e nello stesso tempo di rinnovarlo, di trovare insieme un equilibrio fra continuita’ e cambiamento, fra antagonismo e comune responsabilita’ per l’ interesse generale.

Cestinare la Costituzione del 1948 per scriverne una nuova sarebbe cosa profondamente diversa e, a mio giudizio, in qualche modo sciagurata. Sarebbe distruzione, non rinnovamento, del nostro patrimonio storico. Sarebbe sconfitta delle istituzioni, non loro irrobustimento. Sarebbe una rottura di continuita’ della vita civile, giustificabile solo se il Paese fosse precipitato nell’ abisso.

In questi cinquant’ anni gli italiani non sono precipitati nell’ abisso; si sono piuttosto elevati (seppure in modi disordinati, leggermente deludenti, gravemente imperfetti: all’ italiana, insomma) tanto nel benessere economico quanto nelle liberta’ civili. Hanno motivo d’ essere fieri della propria Costituzione, che ha aiutato quattro generazioni a realizzare un progresso sconosciuto a secoli di generazioni precedenti. La Costituzione ha svolto questo compito in condizioni difficilissime, sotto la minaccia di forze che avevano soppresso (in passato) o si ripromettevano di sopprimere (per il futuro) sia la liberta’ sia il benessere. Essa ha trasformato a poco a poco il comportamento, i programmi politici, i valori di quelle stesse forze, sino al punto di legittimarle sperimentandone senza rischio la capacita’ di governo. La legittimazione a governare, quelle forze la conquistarono solo mutando atteggiamento verso la liberta’ politica ed economica. Fu un cammino di lunghi anni, indipendente dall’ avere o no firmato la Costituzione. Gli impedimenti a un miglior funzionamento delle istituzioni sono sotto gli occhi di tutti: governi deboli e precari, tribunali che non danno giustizia, leggi innumerevoli e inapplicate, poteri locali insufficienti. Derivano da questi impedimenti il degrado dell’ ambiente, la perdita di competitivita’ , l’ illegalita’ , la sfiducia del cittadino. Ma le cause di quegli impedimenti non si trovano nella Costituzione se non in minima parte; e per quella parte esse possono essere rimosse emendando la Costituzione senza riscriverla. In parte maggiore la rimozione delle cause richiede mutamento di leggi ordinarie, d’ interpretazioni di norme esistenti, di regolamenti parlamentari, diversa organizzazione delle forze politiche, cambiamenti del costume. Passaggi altrettanto e forse piu’ difficili di una modifica costituzionale, ma non tali da produrre una cesura nella storia nazionale.

La Costituzione stessa prevede una procedura di emendamento. Proprio in questi giorni essa ha dimostrato di poter funzionare. Usarla con efficacia significherebbe, per la Carta del 1948 e per l’ Italia, superare la prova di maturita’ . Convocare un’ assemblea costituente che scriva una Costituzione nuova significherebbe invece compiere un atto privo di giustificazione storica, vuoto di passione civile, figlio della frustrazione. I nuovi costituenti non formerebbero un nuovo arco di forze legittimate a governare; formerebbero piuttosto l’ arco delle forze responsabili di aver buttato via una Costituzione che funzionava.

“Viva la Costituzione!” era il grido col quale, quando ero ragazzo, si concludevano spesso i comizi e i discorsi politici. Ancor oggi mi auguro che la nostra Costituzione viva.

Vedi l’articolo in pdf

Stampa Stampa
Data
14 novembre 1999
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera