Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 18 febbraio 2001

Conversazioni in Sicilia

Palermo accoglie, con il G7, conversazioni tra le massime autorità dell’ economia e della finanza mondiali, quelle che ne governano la crescita, la stabilità e le periodiche crisi.

Non sappiamo che cosa gli illustri convenuti conoscano della Sicilia antica e moderna, né quali stati d’ animo la loro presenza ispiri ai siciliani che li ospitano. Senso di partecipazione o di estraneità? Fiducia in se stessi o rassegnata mestizia?

Spostandosi da Roma a Francoforte, la distanza di Palermo dal centro delle decisioni monetarie è raddoppiata. Possiamo allora riflettere su che cosa significhi, per una regione come la Sicilia (e in generale per il Mezzogiorno), la progressiva integrazione internazionale.

Prima del 1999, era diffusa l’ idea che l’ euro avrebbe fatto bene alle regioni del centro e male alle periferie. I Paesi sicuri di entrarvi (Germania, Francia, Benelux, qualche altro) si erano orgogliosamente dati il nome di «Paesi nucleo» (core countries). Alle domande che usavo porre in alberghi, ristoranti, negozi di tutt’ Europa, una ricorrente risposta era che l’ euro avrebbe arricchito soprattutto i già ricchi.

I fatti, finora, smentiscono la previsione. Le periferie corrono, il centro cammina. Girando lo sguardo lungo i confini di Eurolandia, da sud-est a nord-est, vediamo che Grecia, Portogallo, Irlanda, Finlandia crescono ormai da anni più rapidamente della media europea, ricuperano ritardi antichi, investono, creano posti di lavoro, guadagnano sicurezza e speranza.

Un’ eccezione è la Sicilia: meno crescita, meno investimenti produttivi, più disoccupazione. Perché?

E’ uno svantaggio non essere Stato sovrano? Tutt’ al contrario, lo statuto d’ autonomia dà alla Sicilia i vantaggi dell’ indipendenza senza imporgliene i costi. Essere Stato sovrano significherebbe pagare integralmente beni pubblici essenziali (quali difesa, istruzione, giustizia) cui la regione, più povera del resto della nazione, contribuisce meno che proporzionalmente. La ridistribuzione di reddito è, infatti, più forte tra le regioni di uno Stato che fra gli Stati dell’ Unione Europea. Nello stesso tempo, l’ autonomia dà al governo locale ogni leva necessaria allo sviluppo.

Nuocciono le torride estati? No di certo. Il clima siciliano è una ricchezza. E’ passato il tempo in cui si poteva credere che, nel mondo moderno, la prosperità abitasse i climi freddi. Il massimo miracolo economico degli ultimi decenni è avvenuto in un’ isola afosa che sta all’ Equatore (Singapore).

Svantaggi antropologici e culturali, quali fatalismo, pigrizia, debolezza di mente e di carattere? E’ vero l’ opposto. Non lo testimoniano solo i grandi siciliani che s’ illustrano lontano dall’ isola. E’ possibile essere grandi siciliani anche in Sicilia. Anni fa, proprio a Palermo, il capo dell’ Fbi mi disse: «Debbo a Falcone il posto che occupo. Da lui ho imparato l’ eccellenza professionale che mi è valsa la nomina». La miglior letteratura italiana dell’ ultimo secolo è siciliana in gran parte. Imprese e imprenditori di successo non mancano; chiedono, per prosperare, meno aiuti pubblici a concorrenti mediocri.

E allora? Quando in una regione, un’ area, un Paese, lo sviluppo economico decolla, le cause rimangono misteriose, nonostante i molti studi compiuti. Chi avrebbe detto, trenta o quarant’ anni fa, che il Veneto povero e contadino, da cui ancora si emigrava, sarebbe a un tratto divenuto (con la Baviera, ugualmente derelitta) una delle più dinamiche regioni d’ Europa? Molte cause stanno fuori del campo economico, ma quasi tutte risiedono dentro i Paesi, le aree, le regioni stesse. Le più importanti tra esse sono forse il mutare di radicati atteggiamenti mentali, il rifiuto dell’ atavico fatalismo, il nascere e il diffondersi della fiducia. Una riunione del G7 ha ridato fiducia a Napoli. Perché non la Sicilia?

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Data
18 febbraio 2001
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera