Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 25 agosto 2002

Allarmi eccessivi e pericoli reali

Prezzi? Parliamo invece di competitività


Tutti gli anni, a fine agosto, si torna in città e si trovano alcuni prezzi aumentati. Ognuno ha il suo aneddoto da raccontare. Si grida all’ inflazione. Fioriscono critiche e proposte. Chi vorrebbe cambiare subito il paniere Istat (l’ Istituto centrale di statistica, che rileva i prezzi) o sbaraccare l’ Istituto; chi dichiara fallita tutta l’ azione del governo; chi chiede addirittura un mutamento della politica sociale; chi rimette in discussione accordi sindacali. In realtà, il cosiddetto allarme-inflazione è fatto di molto allarme e di poca inflazione; ma non è per questo meno pericoloso.

Vi sono alcuni aspetti farseschi, come il quadruplicato prezzo del cetriolo; ma vi è soprattutto, per tante famiglie, la seria fatica di sbarcare il lunario. E la stessa farsa, come i botti di Capodanno, può diventare dramma.

Ciò che è in gioco è il valore della moneta. Che quel valore rimanga stabile è un bene essenziale per la sicurezza materiale e civile di una società. Noi italiani ci siamo privati per un’ intera generazione di questo bene pubblico e l’ abbiamo ritrovato solo sulla via dell’ euro. Oggi, se l’ euro perde valore da noi, l’ Italia perde valore in Europa e nel mondo: seguiranno disoccupazione e declino economico, come accadde nel Mezzogiorno per la prematura introduzione della parità salariale. È perciò necessario orientarsi nel frastuono delle polemiche, conoscere i fatti, e capire la logica che li muove.

Il valore della moneta è misurato da ciò che essa permette di comprare; più essa compra più essa vale; se i prezzi in generale salgono essa perde valore. Dire che la moneta compra sempre di meno, o che perde valore, o che c’ è inflazione, sono tre modi di dire la stessa cosa.

Sempre, vi sono prezzi che salgono e altri che calano. Se non ne fosse enormemente calato il prezzo, telefonino e calcolatore non sarebbero beni di massa. Per stabilire se il valore della moneta sale o scende non basta guardare al cetriolo, occorre guardare anche al telefonino. Conta l’ intero complesso (si usa chiamarlo paniere) dei beni e dei servizi che compriamo.

Poiché ognuno di noi compra cose diverse, e ogni prezzo si muove a modo suo, per ognuno il valore della moneta varia in modo diverso. Per sapere come il valore della moneta varia per tutti, si calcola come varia il prezzo del paniere di tutti (sul «tutti» tornerò). È un’ operazione che per l’ Italia l’ Istat fa ogni mese, sintetizzando centinaia di migliaia di rilevazioni con metodi codificati; solo chi non sa, può credere a manipolazioni.

L’ Istat oggi certifica che il valore della moneta in Italia è diminuito del 2,4% negli ultimi dodici mesi, non il 400% del cetriolo.

Come può nascere allora il dramma? Si diffonde l’ allarme-inflazione, l’ idea che i prezzi siano già saliti e che l’ inflazione sia ormai in corso. I commercianti che non hanno aumentato i prezzi, si affrettano a farlo. Le famiglie fanno scorte di zucchero e detersivi per proteggersi dal temuto rincaro; con ciò lo determinano. I sindacati chiedono e ottengono aumenti per difendere un potere di acquisto che in realtà non è diminuito. Gli aumenti fanno a loro volta salire costi e prezzi. L’ inflazione, all’ inizio solo temuta, s’ invera perché il timore ha fatto scambiare un fiammifero acceso per un incendio. Nell’ immediato, c’ è sempre abbastanza moneta in giro per lubrificare questo ciclo perverso.

Come evitare il dramma? Innanzi tutto, ci si fidi dell’ Istat e si tenga la testa fredda. Poi, ciascuno difenda il valore della moneta coi mezzi che ha. La famiglia, cercando il negozio che fa i prezzi migliori e calcolando bene a quante vecchie lire corrisponde il nuovo prezzo in euro; una piccola fatica ben rimunerata.

Le autorità pubbliche, immettendo concorrenza là dove non c’ è (energia, licenze razionate, finanza, ordini professionali), manovrando bene le tariffe, evitando demagogiche generosità salariali coi dipendenti pubblici. Le categorie produttive, accettando la concorrenza e smascherando i furbi che sono tra loro. Il sindacato, ricordando che aver guidato anni fa l’ uscita dall’ inflazione fu merito storico acquisito verso i lavoratori più indifesi, non regalo a padroni o governo.

L’ inflazione prospera soprattutto nell’ ampio intervallo che sta tra l’ area dei prezzi amministrati e quella della vera concorrenza. La liberalizzazione dei prezzi e le privatizzazioni vi hanno collocato molti beni e servizi che stavano nella prima area, senza tuttavia spingerli nella seconda con una decisa politica della concorrenza. L’ annuncio di un blocco delle tariffe aprirà un dibattito: ripiegare verso prezzi amministrati o avanzare verso più concorrenza? Stato, Regioni e Comuni dovrebbero governare con cura le proprie tariffe (furono intempestivi certi aumenti a fine 2001); ma non dovrebbero assolutamente restaurare prezzi amministrati per produzioni altrui. In quelle produzioni essi, e le autorità di controllo, dovrebbero invece promuovere maggior concorrenza, resistendo alle pressioni di interessi organizzati e servendo gli interessi diffusi.

Se l’ inflazione a Venezia rimarrà più di una volta e mezzo quella di Firenze (3,2 contro 2,0% gli ultimi dati), più turisti andranno a Firenze, meno a Venezia (cose belle da vedere abbondano in entrambe le città). Se l’ inflazione italiana resterà più che doppia di quella tedesca (2,3 contro 1,0 negli ultimi dati), il mondo comprerà più cose fatte in Germania e meno cose fatte in Italia. Esattamente come per gli esempi dei negozi o del Mezzogiorno.

Torniamo, infine, a quel «tutti». L’ euro ha cambiato una cosa fondamentale. Alla fine del dramma una volta c’ era la svalutazione (in circa trent’ anni il marco è passato da 150 a 1.000 lire). Oggi ci sono la disoccupazione e il declino economico.

Con l’ euro, il «tutti» non significa più «italiani», bensì «europei». Come, un tempo, la Banca d’ Italia cercava stabilità dei prezzi in Italia, non a Venezia o Firenze, così la Banca centrale europea promette bassa inflazione in Eurolandia, non in Italia o in Francia. Se nel negozio all’ angolo, o a Venezia, o in Italia, la moneta perde valore più rapidamente che altrove, allora – per fare compere o turismo – si andrà altrove. E in Italia si produrrà e si lavorerà di meno, ci saranno più disoccupazione, miseria, scontento; i giovani di talento andranno via. Non chiamiamola inflazione, chiamiamola competitività.

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Data
25 agosto 2002
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera