Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 1 maggio 2010

La linea dombra tedesca

L’europa e la crisi greca

A giorni il governo tedesco proporrà al Parlamento il prestito alla Grecia. Lo farà nonostante che i mercati continuino a scommettere sul mancato rimborso; che le agenzie di rating la declassino proprio quando Atene approva misure severissime; che illustri economisti esortino la Grecia a non ripagare i suoi debiti (la «ristrutturazione ordinata») o addirittura a uscire dall’euro. È stupefacente che mercati, agenzie, cosiddetti tecnici ancora godano di tanto credito dopo che la crisi ne ha crudamente svelato miopie, errori e conformismi. Smentendo le profezie, Angela Merkel proporrà il

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prestito e il Bundestag l’approverà. Eppure entrambi sanno che l’80 per cento dei tedeschi (blanditi dai quotidiani popolari, ma anche da autorevoli commentatori) non lo condivide.

In questo clima, sono ben pochi coloro che rinunciano a impartire lezioni alla Germania, a incolparla, se non proprio dei guai greci, almeno dell’aggravarsi della crisi. È vero, questa minaccia direttamente la Germania, la sua moneta e le sue banche: se la Grecia fosse abbandonata al suo destino le conseguenze più catastrofiche sarebbe forse proprio lei a subirle. È vero, le incertezze di Berlino hanno incattivito i mercati e reso forse più costoso il salvataggio. È vero dunque che — in termini economici — sostenere la Grecia è non generosità,ma bene inteso interesse. E tuttavia proporre e approvare il prestito è un atto di grande coraggio politico e non può stupire che sia stato arduo arrivarci. È venuto dunque il momento di aiutare il lettore italiano a capire le buone ragioni della Germania.

Nessun paese dell’Unione ha mai compiuto una rinuncia alla propria sovranità altrettanto grande di quella che ha accettato la Germania con l’euro. Rinuncia dolorosissima, se si pensa che i tedeschi hanno un ricordo drammatico della grande inflazione e che proprio il marco forte ha ridato loro morale nel dopoguerra. Ed è falso il luogo comune secondo cui quella rinuncia fu il prezzo della riunificazione: quando Kohl lanciò il progetto della moneta unica nessuno immaginava la caduta del Muro. Nessun paese

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dell’Unione ha preso l’imperativo dell’eccellenza e della competitività (la cosiddetta Strategia di Lisbona) tanto sul serio quanto la Germania: possiamo incolparla di raccoglierne i frutti? Nessun movimento sindacale in Europa ha scelto con altrettanta lucidità di privilegiare la piena occupazione rispetto agli incrementi salariali: magari sapessimo fare lo stesso in Italia.

Nessun grande paese industriale ha accettato, come la Germania, i vincoli di una crescita economica mondiale che sia sostenibile sotto il triplice profilo economico, sociale e ambientale: sobrietà nei consumi opulenti, risparmio di risorse naturali, energia pulita, contenimento della spesa pubblica, pace sociale. E infine, c’è la lezione che la Germania ha impartito a se stessa dopo la tragedia del nazismo e della guerra: fai il tuo dovere in casa tua e non aspirare mai più a guidare il mondo. Il mondo no, ma l’Europa ormai sì. Senza leadership l’Europa non avanza, rischia anzi di distruggersi. La guida tedesca dell’Europa è nei fatti: ignorarlo sarebbe per Berlino solo un modo errato di esercitarla. Nella crisi greca di queste settimane forse la Germania ha superato, come il giovane capitano del romanzo di Conrad, la sua linea d’ombra.


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Data
1 maggio 2010
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera