Tre parole per un governo
di Tommaso Padoa-Schioppa
Nel marzo scorso il presidente Sarkozy e il Cancelliere Merkel, da podi affiancati, invocarono un ‘governo economico’ per l’Europa. L’invocazione fu accolta dall’intero Consiglio europeo dopo solo tre mesi; ma chi leggeva il comunicato ufficiale scopriva che nelle principali lingue dell’Unione il concetto era espresso con tre parole diverse, di forza decrescente (Gouvernement, Governance, Steuerung). In settembre la Commissione ha proposto come tradurre quel concetto in regole, procedure, poteri, sanzioni. L’altro ieri sono stati fatti due nuovi importanti passi: l’accordo della Task Force
in Lussemburgo e la dichiarazione franco-tedesca di Deauville, due documenti assai diversi per forza giuridica e definizione dei dettagli operativi. Tuttavia, solo leggendoli insieme si può avere un’idea di dove stia andando la politica economica europea dopo la crisi di primavera.
Le proposte sono complesse e occorre guardarsi dai giudizi affrettati, anche perché non sappiamo né come saranno applicate le regole concordate in Lussemburgo, né come si attueranno i punti della dichiarazione di Deauville. Si intravvede tuttavia l’impianto e si può tentare una prima valutazione.
L’impianto si può riassumere così: le regole di bilancio restano quelle del Patto di Stabilità, ma il debito pubblico (sotto il 60 per cento) – finora trascurato – assurge alla stessa importanza del deficit (sotto il 3); si rafforzano i meccanismi di controllo e le sanzioni; nasce una politica di prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici, che darà una responsabilità anche ai paesi in surplus; si fa più autonomo il potere della Commissione e più difficile il boicottaggio del Consiglio; diverrà permanente il Fondo Europeo per la Stabilità Finanziaria; si istituirà un meccanismo per la risoluzione delle crisi che prevederà una partecipazione dei creditori privati; chi violerà i principi
subirà sanzioni che potranno giungere fino alla sospensione dei diritti di voto; dove necessario, i Trattati verranno emendati.
La valutazione è positiva, perché siamo di fronte a riforme di notevole ampiezza che, se attuate con forza, faranno compiere importanti passi avanti all’Unione. E tuttavia, per completare l’opera, altre decisioni e altre azioni vanno aggiunte. La disciplina, la prevenzione e la risoluzione delle crisi sono condizioni necessarie ma non sufficienti del buongoverno economico dell’Unione economica e monetaria, della sua coesione e dell’equilibrio politico e sociale. I mercati stessi non si accontentano più di questo.
Per completare l’opera occorrono altri due passi. Primo, superare il concetto dell’Unione come coordinatore di politiche degli Stati e farne, anche se in forma embrionale, un attore della politica economica. Secondo, indirizzare la politica economica europea non solo alla disciplina, ma anche, con strumenti propri, al sostegno della crescita: bilancio dell’Unione, tassa europea, eurobonds, uso attivo del nuovo Fondo di Stabilità Finanziaria.
Ho altre volte sostenuto che una politica economica europea fondata sul mero coordinamento è nello stesso tempo troppo debole e troppo ambiziosa. Debole, perché minata dal fatto che sono i giudicati ad essere giudici, soprattutto quando la Commissione si lasci da essi intimidire. Ambiziosa, perché neppure là dove una vera federazione esiste, il governo federale ha un potere di coordinamento sulle politiche dei federati (si chiamino Stati, Länder, Province o Regioni). Quello che si propone ora è, forse, sì un governo europeo, ma – a differenza della moneta – un governo privo di sufficienti strumenti europei, affannato a indirizzare strumenti e variabili nazionali, quali il bilancio, il debito, la produttività, i salari.
Limitarsi alla critica sarebbe però un errore. Non dimentichiamo che nel 1957 grandi europei come Altiero Spinelli sia Jean Monnet dettero del Trattato di Roma un giudizio assai più negativo di quello che la storia ed essi stessi decretarono in seguito. Bocciare gli accordi di lunedì scorso non spianerebbe la strada verso l’impianto giusto, verso il vero governo europeo; aumenterebbe le debolezze dell’impianto attuale.
Il dibattito non è finito, e chi all’inizio pronunciava parole forti è parso poi preferire una sostanza debole. Il processo di riforme durerà ancora mesi e forse anni. Era accaduta un cosa simile 22 anni fa quando venne avviato il progetto dell’unione monetaria. Per la Germania doveva significare una moneta e una banca centrale; per la Francia un fondo di riserva comune, che lasciasse in
vita molte monete e politiche monetarie nazionali. Prevalse il fondamentalismo tedesco e l’euro si fece.