Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 9 luglio 2004

Se diventiamo più europei pesiamo di più

Ha ancora senso l’unione politica?


La politica europea sembra assente, schiacciata tra dimensione nazionale e mondiale. Ma la sua stessa ragion d’ essere sarà al centro attraverso eventi prossimi quali le deliberazioni del Consiglio europeo, la legislatura del Parlamento neoeletto, il formarsi della nuova Commissione, la ratifica (o non) della Costituzione; al centro, anche se rischia di passarvi inosservata.

La questione si può condensare in una domanda: ha ancora senso l’ unione politica dell’ Europa? (Per «unione politica» qui intendo una triade formata da: alcuni fini comuni, capacità di decidere nel disaccordo, strumenti e risorse per agire).

Porre la domanda non significa provocare il benpensante né sfidare un tabù. Anche nella politica, come in ogni altro campo, il continuo vaglio delle priorità e dei presupposti è la condizione stessa per un agire coerente, per individuare e correggere gli errori.

Chi abbia vissuto o meditato la tragedia europea della prima metà del secolo passato ha una risposta netta: sì, ha senso perché la pace può essere stabilmente garantita solo da un potere superiore agli Stati. Sennò, prima o poi i disaccordi e i contrasti – inevitabili tra i Paesi, come tra comunità più piccole o tra persone – si risolveranno col ricorso alla forza. Ancora cinque anni fa Kohl così spiegava ai tedeschi la necessità dell’ euro: una questione di pace o di guerra.

L’ argomento della pace in Europa non persuade più e non possiamo stupircene: le macerie delle città distrutte sono scomparse, milioni di studenti universitari fraternizzano da un Paese all’ altro, i prodotti del lavoro e il lavoro stesso attraversano le frontiere con facilità, l’ Europa (ma solo quella occidentale) è in pace da più di mezzo secolo. L’ obiettivo è stato raggiunto. Le passioni che esso ha suscitato appartengono al passato.

Le esigenze che premono oggi si presentano su scala mondiale, non più europea; alcune antiche, altre nuove. La pace tormenta ancora ma è divenuta questione planetaria. Così la questione sociale, la sofferenza del prossimo per fame, malattia, sfruttamento, schiavitù. Così il fanatismo religioso, che devasta il mondo come devastò l’ Europa quattro secoli fa. Così il rapporto con la natura, per penuria di risorse, degrado dell’ ambiente, rischio per la vita sulla terra.

È sotto i nostri occhi come questi problemi siano più grandi degli Stati (quasi 200 nel mondo; la metà compresi tra la Finlandia e il Sudafrica). Ma sono anche più grandi dell’ Europa: e allora a che serve costruire un potere europeo per affrontarli?

Io ritengo che serva, anzi che sia indispensabile per dare una speranza, non solo a noi europei ma anche al mondo. Propongo qui la mia risposta, sapendo che circolano e sono degne di rispetto risposte molto diverse e che la domanda è troppo cruciale per il nostro avvenire perché al lettore manchi una discussione aperta e approfondita.

L’ unione politica dell’ Europa ha, a mio giudizio, ancora senso perché è l’ unico strumento a disposizione di italiani, francesi, tedeschi, polacchi, efficace per fare politica davvero, per influire sugli affari del mondo e dunque sui propri. Dove già esiste un potere comune (commercio, moneta), gli europei hanno un’ influenza sulle questioni fondamentali che li riguardano. Dove ne mancano, essi subiscono. Dove esiste, contribuiscono al nascere di una comunità mondiale, trovano con l’ America i necessari compromessi ed accordi, e ne condizionano le tentazioni egemoniche. Dove non esiste, gli europei stessi divengono un fattore di pericolo e di instabilità, perché crescono in essi frustrazione, irresponsabilità e pro e anti americanismi futili.

(I precedenti articoli sono usciti il 22 e il 30 giugno)

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Data
9 luglio 2004
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera