Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 26 novembre 2000

Sapersi dividere per unirsi di più

La Ue: dall’unanimità al voto a maggioranza


La città di Nizza ha un legame storico col farsi dell’ unità d’ Italia. Vi nacque Garibaldi, quand’ era dei Savoia. Fu ceduta alla Francia da Cavour a compenso del sostegno ricevuto nella seconda Guerra d’ Indipendenza, che preparò la nascita del Regno d’ Italia nel 1861.

Sarà Nizza una città storica anche per il farsi dell’ Europa unita? Lo si saprà l’ 8 dicembre, quando il presidente Chirac annuncerà le conclusioni del vertice europeo. Si saprà allora; ma è nei prossimi dieci giorni che le consultazioni e i negoziati determineranno il risultato.

Tra le questioni che verranno decise a Nizza, ve n’ è una che sovrasta, per importanza, tutte le altre: per quali decisioni si farà, col Trattato di Nizza, il passaggio dalla regola dell’ unanimità alla regola maggioritaria?

Oggi, nei Trattati, vi sono circa sessanta materie nelle quali l’ Unione Europea può decidere solo se tutti sono d’ accordo. Ognuno sa che l’ unanimità è paralizzante ed ingiusta. Ognuno sa che “Dieta polacca” è sinonimo di divisione, inefficienza, debolezza perché fu il liberum veto vigente nel suo Parlamento a determinare le sfortune storiche della Polonia. Eppure l’ Europa resta prigioniera della sua Dieta polacca.

Ancora in questi giorni un progresso significativo per passare al principio maggioritario, e quindi per evitare la paralisi, sembra essere impedito dal fatto che per troppe materie, soprattutto tra le poche veramente essenziali, almeno un Paese blocca il passaggio. Come può decidere l’ Europa (oggi di quindici, domani di venti, dopodomani di trenta Paesi) se è governata dal liberum veto?

E’ chiaro al buon senso che dove vige l’ unanimità, decidere diviene quasi impossibile. E’ difficilissimo che tutti siano d’ accordo, e ciascuno, disponendo di un diritto di veto, è restio alla concessione e al compromesso. L’ unanimità incoraggia l’ intransigenza, spesso l’ irragionevolezza.

Meno chiaro, eppure cruciale, è che solo movendo dall’ unanimità al maggioritario si compie il vero passaggio dalla divisione all’ unione, dall’ interesse particolare al bene comune. In qualunque campo dell’ attività umana, solo quando adotta il principio maggioritario nelle proprie deliberazioni, un gruppo (di persone, partiti, associazioni, Stati) compie il passaggio costituzionale verso l’ unità, nasce come gruppo, riconosce un superiore interesse comune al quale convenga sacrificare – su questo o quel punto – la preferenza individuale. La civiltà ha compiuto un progresso immenso quando ha inventato, e poi applicato in forme diverse e spesso assai complesse, il principio maggioritario.

L’ Unione Europea sarà compiuta quando l’ unanimità sarà scomparsa dalle sue regole. In quel momento i suoi trattati saranno divenuti una costituzione.

Su questo punto vitale del negoziato in corso l’ Italia ha tenuto, per mesi, una posizione impeccabile. Si è schierata per il più ampio passaggio possibile al maggioritario, non ha posto il veto su alcuna questione. Il governo italiano è stato così fedele a una tradizione che inizia con Einaudi nell’ Assemblea Costituente, continua con De Gasperi, Moro, Craxi, Andreotti, Prodi.

Anche oggi l’ Italia ha i mezzi per dare una spinta determinante all’ unità degli europei. Non solo la linea impeccabile fin qui seguita.

Anche la sua influenza di grande Paese fondatore e il personale prestigio di chi la rappresenta. Anche l’ abile e costruttivo rapporto tenuto finora sia con Parigi sia con Berlino. Infine, ma non ultima, la circostanza che italiano è il presidente della Commissione.

Occorrerà, come a Milano nell’ 84, come a Roma nel ‘ 90, che il governo non tema l’ accusa di causare rotture o impedire accordi. Meglio un disaccordo che un accordo cattivo, celebrato come un successo la sera del vertice, sofferto come una catena in tutto il tempo successivo.

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Data
26 novembre 2000
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera