Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 8 novembre 2009

Quelloccasione di ventanni fa

Perché abbia senso e valore, la celebrazione di un anniversario deve essere anche occasione di un esame di coscienza e di un giudizio distaccato dell’evento. Il 1989 ci ricorda la fine di un’utopia tradotta in oppressione, l’uscita

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da una lunga paura, il miracolo di saggezza che Gorbaciov seppe compiere rinunciando all’uso delle armi; ma ricorda anche come l’Europa vi sia giunta impreparata e come abbia mancato di coglierne tutto il significato e le possibilità che schiudeva.

Nell’ottobre 1989 l’euro era un progetto dal futuro incerto; la riunificazione tedesca sembrava non avere alcun futuro. Nei dodici mesi che seguirono si giocarono — con diverso successo — i destini di due unioni monetarie e politiche: in Germania e in Europa.
Proprio il confronto tra le due unificazioni mostra che cosa avrebbe potuto essere la caduta del Muro se l’Europa fosse giunta a quell’appuntamento avendo già completato il cammino che i padri fondatori avevano tracciato quarant’anni prima. La Germania fu riunificata entro sei mesi dalla notte famosa; invece, pur avendone posto le premesse, l’Europa mise ancora dieci anni per giungere all’euro e altri cinque perché i suoi Länder orientali (Polonia, Ungheria, Cekia, Slovenia e via dicendo) vi entrassero così come quelli della Germania erano entrati nella Repubblica federale col semplice andare a votare per il Bundestag: senza negoziati, senza lunga anticamera, senza trattato, senza le estenuanti e umilianti attese che hanno lentamente eroso l’entusiasmo della ritrovata libertà.
Nei vent’anni dalla drammatica e incruenta vittoria dell’Occidente nella guerra fredda, l’Europa ha pagato più volte il prezzo dell’occasione perduta: nei Balcani e in Medio Oriente, nelle crisi economiche e in quelle dei rapporti atlantici. I nodi non sciolti sono venuti al pettine e il rischio di disgregazione si aggrava, perché l’Europa è oggi un «semilavorato», che difficilmente la crisi lascerà indenne.

Il 1989 fu un’occasione mancata perché a Maastricht non fu fatta, insieme con quella monetaria, l’unione politica: difesa, sicurezza, politica estera, fornitura degli essenziali beni pubblici europei, risorse economiche e bilancio comune di dimensioni adeguate, abbandono del veto e, correlativamente, pienezza di poteri al Parlamento europeo. L’unione politica avrebbe permesso all’Europa di realizzare l’allargamento negli stessi modi e negli stessi tempi con cui si realizzò quello tedesco e di essere protagonista nella costruzione di un nuovo ordine mondiale.
A mio giudizio, ci fu una fondamentale mancanza di comprensione, soprattutto da parte francese, del significato storico della caduta del Muro e della fine dell’impero sovietico. Non si capì che l’Unione Europea del dopo-guerra fredda — con la sua inevitabile o auspicabile estensione a 20, 25, 27, 30 Paesi — non avrebbe mai più potuto essere quella del federalismo «goccia a goccia», governato dal veto francese. Né si capì che, non realizzando l’unione politica, si favoriva un’occupazione Usa-Nato di uno spazio che per vocazione sarebbe dovuto essere europeo. Tra la Francia di Clemenceau, che alla Germania sconfitta impose punizioni insostenibili nel 1918, e la Francia di Robert Schumann, che alla stessa Germania tese la mano nel

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1950, prevalse la prima. Questa miopia consegnò l’Europa a un ventennio di declino.

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Data
8 novembre 2009
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera