Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 11 agosto 2003

Quattro mesi per l’Europa

Costituzione, fare il meglio del possibile


La politica è sempre arte del possibile; ma è buona solo se, tra i molti, persegue il «possibile» migliore; quando l’ ottiene è grande politica.

Non considero buona politica il lavoro della Convenzione europea consegnato giorni fa al governo italiano. Sono convinto, infatti, che il passo decisivo verso una vera unione europea fosse possibile e che la Convenzione l’ abbia mancato proprio mentre l’ Europa e il mondo hanno bisogno quasi disperato di unione e di forza.

Unione, bisogna ripeterlo, significa capacità di decidere e di agire per il bene comune. E poiché il bene comune europeo – la pace interna ed esterna, innanzi tutto – è decretato da tempo, i due obiettivi erano, e sono, di estendere la decisione a maggioranza e di allestire risorse e mezzi; tutto il resto è contorno. La Convenzione li ha mancati entrambi. Ha fatto cose importanti, ma nel contorno; il passo decisivo verso l’ unione vera, è inutile nasconderselo, lo ha mancato.

Il passo era possibile. Per la prima volta si poneva mano a una costituzione, cioè all’ atto fondante di un’ unione politica, visto che nel mondo contemporaneo gli Stati non nascono da matrimonio o conquista. Per la prima volta il compito era affidato non a funzionari governativi, ma a un’ assemblea rappresentativa, e ivi una chiara maggioranza era favorevole all’ unione. Certo, la Convenzione avrebbe dovuto dividersi, e si sarebbero divisi anche i governi dell’ Unione attuale. Ma quando mai non si divisero, in passato, a ognuno dei passi compiuti?

Non si è fatta, dunque, buona politica, e chissà se l’ occasione mai tornerà. Temo, a momenti, che lo storico di domani ricorderà il 2003 come l’ anno nel quale l’ Europa – come l’ Italia del Quattrocento o la Grecia antica – perse l’ ultima occasione di restare soggetto attivo della storia del mondo.

Questo, ormai, è passato. Oggi, il migliore dei possibili non è più lo stesso di un anno, né forse di tre mesi, fa. E per l’ Europa, per l’ Italia che la presiede, buona politica è individuare il meglio di ciò che è possibile oggi, e perseguirlo con determinazione. Ritengo che questo «meglio» sia, nonostante il sopraddetto, approvare il progetto della Convenzione e rafforzarlo – forse – su un punto. Il punto è la possibilità di progredire, sotto il nuovo trattato, oltre il risultato ora raggiunto (le cosiddette clausole evolutive).

Non sarà certo il gran passo. Eppure non sarà un passo facile, perché oggi il rischio di peggiorare il risultato è più grande della possibilità di migliorarlo. Occorrerà sventare tentativi già annunciati di togliere al progetto i suoi attuali attributi; e occorrerà esplorare ogni possibilità di irrobustirlo.

La presidenza europea è uno strumento potenzialmente fortissimo. Ma si sono già viste presidenze imbelli, paralizzate dalla disorganizzazione e dal colpevole intento di compiacere tutti. In passato l’ Italia ha saputo usare la presidenza con grandissima abilità, determinazione, astuzia, preciso senso strategico, perché aveva obiettivi chiari nella sostanza, non l’ intento di accontentare tutti. Più di una volta, l’ Italia dell’ ingiustamente vilipesa Prima Repubblica ha fatto grande politica in Europa.

Bastano quattro mesi per ottenere il meglio di ciò che è possibile oggi e la soddisfazione di una solenne firma a Roma? Credo di sì. In genere, la lunghezza dei tempi non giova all’ esito dei negoziati difficili. La conferenza di Bretton Woods, che nel 1944 gettò le basi di un nuovo sistema monetario internazionale, durò meno di venti giorni; la convenzione di Filadelfia, che nel 1787 scrisse la Costituzione americana, sei settimane.

Quattro mesi bastano se l’ obiettivo è non la firma a Roma, bensì la qualità del risultato.

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Data
11 agosto 2003
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera