Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 20 maggio 1998

Presidente d’Europa con il voto di tutti

Una moneta unica, un’unica cabina elettorale


Nel 1999 la Banca centrale europea assumera’ le proprie funzioni, verra’ rieletto il Parlamento europeo e verra’ formata la nuova Commissione. Quest’anno vedra’ svolgersi un’intensa preparazione politica e tecnica dei tre importanti avvenimenti. Il prossimo avvento di una istituzione potente, come la Banca centrale europea, pienamente europea seppure con competenza settoriale, unito con la prospettiva di un allargamento a 20 – 25 membri, sta gia’ generando serie preoccupazioni sulla capacita’ dell’Unione di far fronte alle esigenze del futuro. Nella situazione che si verra’ a creare, le ben note carenze dell’attuale architettura europea (mancanza di efficacia, mancanza di democrazia) si potranno infatti aggravare fino a paralizzare l’Unione e distruggerne la credibilita’. Il processo delle decisioni diverra’ ancora piu’ lento e inefficiente di oggi a causa di una Commissione pletorica e di un Consiglio dei ministri troppo numeroso nel quale spesso e’ ancora richiesta l’unanimita’. Il governo della moneta da parte della Banca centrale europea si svolgera’ in un vuoto politico pericoloso.

Non vi sono ne’ il tempo ne’ la forza politica per correggere questi difetti emendando i trattati. La via dell’emendamento e’ stata tentata due volte, con risultati modesti. Sia il Trattato di Maastricht sia quello, non ancora ratificato, di Amsterdam hanno indubbiamente portato qualche miglioramento, ma entrambi hanno fallito l’obiettivo di dare all’Europa un’architettura istituzionale che recepisca pienamente i fondamentali principi costituzionali di efficacia e di democrazia che costituiscono il patrimonio politico della civilta’ occidentale.

Come in altre fasi della sua storia l’Unione dovra’ ora rafforzarsi lavorando entro i trattati dopo aver per alcuni anni lavorato sui trattati. Ingegnosita’ e determinazione saranno necessarie per scoprire, e poi sfruttare pienamente, il potenziale insito nell’assetto istituzionale esistente. Tra i vari campi nei quali tale potenziale esiste, ve ne e’ uno che potrebbe produrre un mutamento particolarmente profondo e positivo nella configurazione dell’Unione: riguarda il processo di selezione e conferma del presidente della Commissione europea.

Immaginiamo, per il 1998 e il 1999, il seguente scenario. I gruppi politici del Parlamento europeo scelgono, ciascuno, un candidato alla presidenza della Commissione e dichiarano che se vinceranno l’elezione, cioe’ se formeranno il piu’ numeroso gruppo entro il nuovo Parlamento, essi daranno il loro voto di fiducia a una Commissione che abbia per presidente il loro candidato. Nello stesso tempo, alcuni capi di Stato o di governo oggi al potere dichiarano che, quando verra’ il momento, difenderanno questa impostazione all’interno del Consiglio europeo, perche’ la vedono come uno sviluppo naturale e positivo dell’Unione. Tanto i gruppi politici quanto i capi di governo sottolineano, tuttavia, che la composizione pluripartitica della Commissione non verra’ abbandonata; solo il presidente avra’ un’appartenenza politica coerente con la coalizione vincente alle elezioni parlamentari. Il Consiglio europeo manterra’ il suo potere di nomina del presidente ma, come in ogni democrazia, condividera’ questo potere con l’elettorato. La procedura tradizionale continuera’ ad applicarsi se, nel corso del suo mandato, una nuova Commissione dovesse essere formata in conseguenza di un voto di censura del Parlamento europeo.

Lo scenario descritto e’ del tutto coerente con i due mutamenti istituzionali introdotti dal Trattato di Maastricht: il voto di fiducia del Parlamento richiesto per l’entrata in carica della Commissione e la sincronizzazione tra mandato parlamentare e mandato della Commissione. Esso e’ coerente anche con l’ulteriore modifica prevista dal Trattato di Amsterdam: l’”approvazione” del nuovo presidente da parte del Parlamento prima che la nuova Commissione sia formata e abbia ottenuto la fiducia. Anzi, va detto che tutti questi mutamenti sarebbero privi di senso se non si realizzasse lo scenario sopra delineato.

Legare il presidente della Commissione all’elezione e’ il pezzo mancante nel puzzle europeo. Mettendo questo pezzo al suo posto, molti problemi difficili vengono risolti o vengono resi meno ostici.

Il primo e piu’ importante problema e’ lo squilibrio politico tra l’avanzato grado di “unione” ormai raggiunto e l’ancor minimo grado di partecipazione al processo europeo da parte dei cittadini e delle forze politiche. Un enorme trasferimento di funzioni legislative dagli Stati all’Unione; un forte potere giudiziario europeo che ha l’ultima parola in materie fondamentali; una competenza dell’Unione Europea per i rapporti economici esterni; la moneta unica. Queste e altre innovazioni hanno gia’ creato un’unione politica! E tuttavia nei cittadini, nei partiti politici e nei Parlamenti nazionali vi e’ una specie di schizofrenia per cui da un lato essi danno il loro appoggio a questi sviluppi, ma dall’altro si sentono frustrati ed estranei a causa del carattere ancora prevalentemente nazionale dei processi politici.

Se si lascera’ permanere questo squilibrio politico per lungo tempo senza porvi rimedio i risentimenti contro l’Unione aumenteranno. I cittadini si sentiranno esclusi. I leader politici si disinteresseranno all’Europa, salvo che non siano parte del Consiglio europeo. I Parlamenti nazionali e i poteri regionali diventeranno sempre piu’ ostili a Bruxelles.

In tutti i sistemi democratici i partiti sono l’agente indispensabile della vita politica. Essi collegano gli elettori con i personaggi politici, selezionano i candidati, costituiscono la macchina della lotta politica, definiscono programmi e idee, funzionano da scuola di politica, organizzano la vita dei Parlamenti.

Scegliere e sostenere un candidato alla presidenza della Commissione significherebbe trasformare in modo radicale gli atteggiamenti dei partiti politici verso l’Europa. Incoraggerebbe il formarsi, a livello europeo, di veri e propri gruppi politici, sostituendo le semplici consultazioni di oggi. Qualunque cosa sia scritta nei trattati, fintanto che i temi europei rimarranno una componente marginale nell’attivita’ a carattere prevalentemente nazionale dei partiti, perfino l’elezione del Parlamento europeo rimarra’ poco piu’ di un esercizio virtuale della vita politica nazionale.

Un candidato alla presidenza che facesse campagna elettorale alla televisione di tutti i Paesi dell’Unione insieme coi candidati locali al Parlamento europeo modificherebbe radicalmente gli atteggiamenti psicologici verso l’Europa sia degli elettori sia dei mezzi di comunicazione. Diventerebbe improvvisamente chiaro a tutti che l’unione gia’ esiste, che ha solide fondamenta democratiche; che c’e’ non solo una moneta unica ma anche un’unica cabina elettorale.

Un presidente che scaturisse da questa procedura potrebbe svolgere un ruolo nuovo e molto piu’ forte nella formazione della Commissione, che oggi avviene per decisioni unilaterali degli Stati. Egli avrebbe anche l’autorita’ di esercitare, come prescrive il Trattato di Amsterdam, la “guida politica” della Commissione. In un’Unione allargata, la Commissione rischia di diventare un collegio troppo numeroso, composto di persone poco indipendenti dagli Stati di origine, incapace di prendere iniziative e di imporre il rispetto della legislazione comunitaria. Una Commissione debole indebolirebbe l’intera architettura dell’Europa. Se la composizione e le funzioni della Commissione non possono essere modificate emendando i trattati, solo un presidente politicamente piu’ forte puo’ evitare il declino di una delle istituzioni chiave dell’Unione.

Un presidente “eletto” avrebbe una legittimazione piu’ forte. Avrebbe anche un programma, una politica sostenuta dagli elettori, perche’ avrebbe condotto la sua campagna elettorale sulla base di una piattaforma politica. Il programma costituirebbe il fondamento della sua azione e avrebbe l’appoggio del Parlamento europeo. Con la nuova procedura numerosi elementi tra loro sconnessi – la selezione del candidato, la campagna elettorale dei partiti, il voto popolare, la decisione del Consiglio, la conferma da parte del Parlamento – diverrebbero parti di un unico processo politico, nel quale partiti, cittadini, parlamentari e governi – soggetti ora fuori dal gioco o comunque non collegati in un unico gioco – assumerebbero ruoli attivi e tra loro collegati nella formazione di una Amministrazione europea, cosi’ come vi e’ una “Amministrazione” negli Stati Uniti d’America. Membra sparse e inattive diventerebbero parti di un unico corpo vivo.

Certo l’”elezione” del presidente non risolvera’ tutti i problemi. L’Unione manchera’ ancora di una vera politica estera e di sicurezza. Avra’ ancora bisogno di mutamenti istituzionali per far fronte all’allargamento. Ci vorra’ ancora una politica economica che accompagni la politica monetaria unica. Dovranno ancora essere adottati in modo completo il voto a maggioranza e la codecisione del Parlamento. La Commissione sara’ ancora da ristrutturare. Sara’ ancora necessario rivedere i metodi di lavoro del Consiglio.

Ma collegare il presidente della Commissione all’elezione europea potra’ essere una leva potente. Potra’ dare all’Unione cio’ che oggi maggiormente le manca: lotta politica e partecipazione effettiva dei partiti e degli elettori. L’elezione e’ pienamente realizzabile nell’ambito dei trattati vigenti e del tutto coerente con l’evoluzione storica delle istituzioni europee nel corso degli ultimi decenni. E’ anche la condizione necessaria per ogni sviluppo ulteriore nei due campi, tra loro complementari, delle istituzioni e delle competenze dell’Unione.

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Data
20 maggio 1998
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera