Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 26 marzo 2006

Pirro vince a Bruxelles

L’energia divide l’Unione Europea.

Riuniti a Bruxelles, i capi di Stato e di governo europei hanno discusso le grandi manovre nel settore energetico. Le cronache parlano di come ognuno abbia difeso il campione nazionale, nella logica del classico litigio europeo o, nella migliore ipotesi, alla ricerca di un compromesso tra interessi nazionali. Il lettore si chiede se le concentrazioni tra imprese energetiche siano necessarie, se la struttura del settore debbano deciderla i governi o il mercato, se la politica dell’ energia sia dell’ Unione o degli Stati membri. Due elementi di riflessione possono, a mio giudizio, aiutare a orientarsi nella cronaca di queste vicende.

Primo: le concentrazioni sono auspicabili, ma non tutte fanno bene all’ economia. Auspicabili perché riducono i costi: è opinione condivisa degli analisti che in Europa il settore energetico sia frammentato in troppe imprese. Ma non sempre giovano al benessere delle famiglie e alla competitività dell’ industria, cioè all’ economia nel suo complesso. Se due imprese che si contendono un mercato nazionale si fondono in una, il monopolio che nascerà farà più ricco se stesso, non gli utenti; invece di abbassare le tariffe probabilmente le aumenterà. Se invece ciascuna di esse si fonde con quella di un altro Paese che sta nella stessa situazione, i minori costi si tradurranno probabilmente in minori prezzi. L’ apertura a uno straniero sarà criticata da alcuni in nome del patriottismo economico; ma chi consuma energia avrà vantaggi. Spesso si dice che una grande impresa energetica è una ricchezza per il Paese. È vero, ed è vero patriottismo, se è lei ad arricchire il Paese; non se è il Paese ad arricchire lei.

Secondo: il mercato non basta, ma la politica deve essere europea, non solo nazionale. Per ogni Paese, la questione energetica riguarda la sicurezza e i rapporti internazionali, non solo le scelte industriali. Poco importa che petrolio, gas, elettricità, reti di distribuzione siano in mani pubbliche o private. Politica energetica e politica tout court sono inscindibili, anche se non è sempre chiaro quale guidi l’ altra: valeva ieri per Enrico Mattei e oggi per la famiglia Bush, per Putin e per Schröder (prima e dopo il cancellierato). Nell’ energia il libero mercato non esiste.

Per una efficace politica energetica i Paesi europei sono ormai troppo piccoli; vale per Germania o Francia, non solo per Estonia o Irlanda. Stati Uniti, Cina, India sono – come l’ Europa – importatori di energia e la sicurezza degli approvvigionamenti è al centro della loro strategia internazionale, politica e militare. Tenere la politica energetica alla dimensione dei piccoli Stati membri dell’ Unione Europea sfiora il ridicolo.

In verità, l’ energia è un problema del mondo, neppure solo degli Stati, anche i maggiori, in cui esso è diviso. Tre sono i motivi: le fonti non riproducibili sono in via di esaurimento; i rischi del nucleare, comunque li si giudichino, ignorano le frontiere; la combustione di minerali fossili ha effetti climatici sul pianeta, non su questo o quel Paese.

C’ è una differenza fondamentale tra negoziare e cooperare. Nel primo caso ci sono intorno al tavolo tanti problemi quanti sono i partecipanti al negoziato, perché ognuno vi porta il suo. Nel secondo il problema è uno solo e riguarda tutti; le opinioni su come affrontarlo possono divergere, ma l’ interesse comune non è in discussione. Quando un problema comune viene affrontato come un negoziato, è probabile che invece di risolverlo lo si aggravi. Anche chi vince rischia di dover alla fine dire, come Pirro re dell’ Epiro: «Un’ altra vittoria così e sarò rovinato».

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Data
26 marzo 2006
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera