Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 23 novembre 2003

Mercato e democrazia: errare è fondamentale

Indulgenza e tolleranza zero

Pubblichiamo un estratto del discorso dal titolo «L’ errore: tolleranza zero e indulgenza» pronunciato ieri all’ Università di Bologna da Tommaso Padoa-Schioppa in occasione dell’ inaugurazione del nuovo anno accademico


Il Devoto-Oli definisce l’ errore «abbandono della verità (logica o etica); azione inopportuna e svantaggiosa; infrazione di una regola o di una consuetudine; peregrinazione penosa».

Il tema dell’ errore mi sembra particolarmente congeniale a una sede universitaria, che è, per eccellenza, luogo dell’ insegnamento e della ricerca. Ma errare e apprendere non sono esperienze esclusive dello studente o dello scienziato. Al contrario, ci accompagnano in tutte le età perché errare humanum est.

In una parte crescente del mondo di oggi due grandi istituzioni sociali regolano la vita economica e la vita politica: il mercato e la democrazia. Ebbene, entrambe assumono quale fondamento proprio l’ esperienza dell’ errore, hanno dunque indulgenza verso di esso. A differenza di un’ economia pianificata o di una dittatura esse non presuppongono l’ utopia dell’ infallibilità; allestiscono invece una procedura ordinaria di correzione dell’ errore. La correzione è un combinato di due elementi: la sanzione e la libertà di cambiare strada.

Sanzione è ogni conseguenza negativa e ogni mezzo attraverso cui una norma impone il proprio rispetto: nell’ economia una diminuzione di ricchezza, nella politica la perdita del potere. La sanzione inizia col riconoscimento dell’ errore. L’ errore non riconosciuto, invece, persiste e si aggrava, produce nuovo e più grave danno. Il rifiutare ogni tolleranza verso l’ errore non è dunque accanimento punitivo, è la norma elementare che separa la responsabilità dall’ irresponsabilità.

Libertà di cambiare strada significa poter modificare le scelte precedentemente compiute: indirizzarsi verso un altro prodotto, un altro lavoro, un altro mercato, un altro partito, un altro governo.

Nel mercato e nella democrazia il meccanismo di correzione che abbiamo descritto non è solo ordinario, è anche tendenzialmente morbido. Il debitore insolvente non va in prigione né diviene schiavo del suo creditore, come accadeva in un passato non lontano. E alla perdita del potere non si accompagna la perdita della vita, come pure è stata pratica comune per secoli. Proprio perché assumono l’ errore come elemento fondante, mercato e democrazia sanzionano l’ errante ma non lo mettono al bando, lo recuperano dandogli un’ altra occasione, praticano l’ indulgenza.

Mercato e democrazia hanno anche la proprietà di potersi perfezionare come meccanismi, di saper porre rimedio, nel tempo e attraverso l’ esperienza, a difetti del loro funzionamento, potremmo dire a errori di costruzione dai quali possano essere affetti.

Il mercato e la democrazia dell’ era moderna sono istituti recenti e ancora in piena trasformazione. Sono grandi scommesse che l’ uomo sta compiendo sulla propria capacità di organizzare la vita associata in forme capaci di dare il massimo possibile di benessere, liberà, sicurezza, pace.

Non sappiamo dire se queste due grandi scommesse – iniziate verso la fine del XVIII secolo – saranno vinte, né quale posto occuperanno nella storia dell’ umanità. Sappiamo, però che, come possono perfezionarsi, il mercato e la democrazia possono anche guastarsi. Anzi, l’ uno e l’ altra portano in sé il rischio, forse addirittura il germe, dell’ autodistruzione.

La concorrenza può generare il monopolio, la sete di guadagno può distruggere l’ ambiente o la salute dei consumatori, la volontà popolare può diventare dittatura della maggioranza. I totalitarismi che hanno insanguinato il ventesimo secolo difficilmente si sarebbero sviluppati senza la cultura e il principio della sovranità popolare e del suffragio universale; nella loro genesi, e per almeno una parte del loro decorso, sono stati malattie deformanti della democrazia.

Traumatiche e subito evidenti sono esperienze di perdita della possibilità di cambiare strada, come quelle vissute nella prima metà del secolo passato. Altri processi di autodistruzione sono invece lenti, perché ciò che si guasta è il meccanismo di sanzione dell’ errore.

Quando il meccanismo di sanzione si è tanto deteriorato da consentire all’ errore di diventare costume, dunque esso stesso norma, la correzione diviene estremamente ardua. Si cessa di riconoscere l’ errore, ci si rassegna alla sua inevitabilità, si applicano le proprie forze a conviverci piuttosto che a contrastarlo. Non manca più la possibilità di cambiare strada, manca la volontà. Perché s’ inneschi un’ inversione di tendenza occorre che la decadenza divenga quasi insopportabile: la Francia alla vigilia della Rivoluzione, l’ Urss alla fine degli anni Ottanta.

Quando un’ epidemia è in atto non bastano gli ordinari strumenti di profilassi. Occorrono misure straordinarie di rigore e intransigenza, una fase in cui nessuna eccezione viene tollerata: «tolleranza zero» fu il motto all’ insegna del quale il sindaco Rudolph Giuliani estirpò il crimine, grande o piccolo che fosse, dalla città di New York.

Sembra un paradosso, eppure è profondamente vero che i nostri errori sono la nostra guida. Lo divengono, tuttavia, se e solo se li riconosciamo come tali. Qui sta il nesso tra i due significati del verbo errare: peregrinazione penosa e azione inopportuna o svantaggiosa. Il riconoscimento intransigente dell’ errore costituisce l’ atto attraverso il quale il peregrinare si dà una meta, un senso.

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Data
23 novembre 2003
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera