Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 24 febbraio 2002

Meno governo ma pi

I poteri e le libertà dei cittadini


L’ Italia, come molti altri Paesi, ha bisogno ad un tempo di meno governo totale e di più governo europeo. E’ una combinazione contraddittoria solo per chi, mentalmente prigioniero dello Stato assoluto e giacobino anche quando lo rifiuta, consideri le parole Stato e Governo come sinonimi. E’ , invece, una combinazione perfettamente coerente non appena si riconosca che, in punto di fatto oltre che in linea di principio, lo Stato è solo uno dei molteplici governi cui ogni persona fa riferimento.

L’ uso corretto del plurale è essenziale per ragionare bene in un momento come l’ attuale dove, soprattutto in Italia, l’ antica questione «più governo o meno governo» è nuovamente in cerca di risposta, che si tratti della Convenzione europea o della cosiddetta devolution (cioè il conferimento alle Regioni di poteri oggi esercitati dallo Stato).

Come un pendolo, la risposta ha avuto, nel corso del tempo, ampie e lente oscillazioni tra i due estremi del «troppo» e dell’ «insufficiente» governo; oscillazioni determinate dall’ evolvere delle opinioni, dal manifestarsi degli eccessi dell’ uno o dell’ altro estremo, da circostanze quali la guerra e la pace. Nell’ economia, si fa risalire a un celebre saggio di Keynes (La fine del laissez-faire, 1926) l’ inizio di un lunghissimo movimento verso «più governo», che terminò solo quando, oltre cinquant’ anni dopo, Margaret Thatcher e Ronald Reagan assunsero il potere.

La parola governo va declinata al plurale. Sul capo di ogni persona pesano (ma l’ immagine peggiorativa è impropria: il buon governo allevia, non aggrava, il cittadino) non uno solo, ma più governi. Ogni persona vota per il Comune, la Provincia, la Regione, lo Stato, l’ Unione europea. E si ha più o meno governo non solo per come le parti si sommano, ma anche (anzi, soprattutto) per come si distribuiscono e si sostituiscono lungo la scala che va dal Comune all’ Unione europea o addirittura all’ Onu (giacché anch’ essa emana, in qualche campo, norme vincolanti per gli Stati).

Il risultato elettorale del maggio scorso ha dato i poteri esecutivo e legislativo a una coalizione politica che aveva posto al sommo del suo programma la promessa di meno governo. «Casa delle libertà» significava per molti meno tasse, assistenza sanitaria privata, scelta del fondo pensione, libertà nel mercato del lavoro, ristrutturare la casa senza permessi, spazi alla scuola privata. Una parte non piccola della vittoria elettorale della destra va attribuita al fatto che gli elettori, e in parte lo stesso interesse del Paese, chiedevano «meno governo».

Ma, presi dall’ entusiasmo, alcuni (ultimamente il ministro per le Politiche comunitarie, poi correttosi) hanno detto: meno governo dunque meno Europa. Oppure: torniamo alla supremazia della legge nazionale su quella europea. Avrebbero invece dovuto dire: meno governo dunque più Europa. Perché da quando la sua costruzione è incominciata, Europa ha quasi sempre significato meno barriere, meno dazi, meno divieti, meno monopoli pubblici e privati. Come disse De Gasperi, per costruire l’ Europa «bisogna soprattutto togliere»; ma per togliere, ci vuole più, non meno, potere europeo.

Ho scritto «quasi» perché sono note le ridicole e infauste prescrizioni comunitarie sulla lunghezza degli ortaggi e sugli orari per tagliare l’ erba in giardino. Chi conosce la Comunità europea sa bene, tuttavia, che i padri di quei mostri sono per lo più ministri nazionali che usano la veste europea per fare ciò che non osano, o non ottengono, nelle rispettive capitali. La vituperata Bruxelles è solo il luogo geografico delle loro piccole congiure.

Per avere minore interferenza dei pubblici poteri nella vita del cittadino occorre dunque guardare al dove, non solo al quanto del governo. Altrimenti accade che s’ indebolisca quel governo di cui vi è carenza e si rafforzi quello già sovrabbondante. E che si finisca così per ritrovarsi, magari senza averlo voluto, in una casa in cui la libertà, invece di aumentare, è diminuita.

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Data
24 febbraio 2002
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera