Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 30 ottobre 2005

L’Europa incompiuta figlia della malinconia

L’idea di una politica continentale forte e propositiva per sconfiggere l’attuale crisi. La tesi di Tommaso Padoa-Schioppa.


Darsi un punto di riferimento significa assumere quale guida qualcosa che, pur connesso al tempo e al luogo in cui siamo, sia più alto e più lontano, e perciò dia senso, orientamento al nostro incedere. Non una previsione o una scommessa, ma un obiettivo e un proposito. Ai giovani qui presenti vorrei suggerire di adottare l’ Europa quale punto di riferimento professionale, culturale, politico e civile.

Quale motivo conduttore ho scelto il tema della malinconia perché questo stato dell’ animo, antico, misterioso e ambivalente caratterizza forse più di ogni altro il momento che l’ Europa sta vivendo, con la sua grandezza e il suo sconforto. In sintesi, non credo che l’ Europa sia oggi malinconica perché in crisi; credo che essa sia in crisi perché la nostra società è malinconica.

Se in un archivio della stampa quotidiana incrociassimo la parola «Europa» con «crisi» per gli ultimi sei mesi, Google ci risponderebbe con una lista quasi sterminata di riferimenti. Forse «Europa» emergerebbe con la più alta correlazione alla parola «crisi», davanti a termini come «petrolio», «Iraq», «occupazione», «calcio», «Alitalia».

L’ occupazione non aumenta ed è colpa delle regole di Bruxelles; le stesse che hanno favorito per oltre trenta anni una crescita nettamente superiore a quella americana. Il terrorismo ci minaccia e si accusa Schengen; quella stessa che ha aiutato l’ Italia a riorganizzare e rafforzare i suoi controlli alle frontiere. La globalizzazione trasforma il mondo e spiana le frontiere; ma noi diciamo che è l’ Europa a spianare le frontiere e a sopprimere lingue, tradizioni, produzioni locali. La burocrazia irrita cittadini e imprese e la chiamiamo «Bruxelles», ignorando che la Regione Lombardia o la città di Monaco hanno più dipendenti che la Commissione a Bruxelles.

Questa, però, è solo una parte del quadro. Proprio mentre la cronaca quotidiana continua a suonare il motivo triste della crisi europea, cresce – in forma non di articoli di giornale o di servizi televisivi, bensì di libri o saggi – quella che potremmo chiamare letteratura del successo. Essa analizza quanto l’ Europa ha fatto nel campo dell’ economia, delle istituzioni, delle relazioni internazionali, dell’ edificazione di Stati e mercati, del mantenimento della pace, dell’ aiuto allo sviluppo e giudica l’ Unione Europea come l’ anticipo dell’ ordine mondiale nell’ era dell’ integrazione economica planetaria, la novità più importante dell’ ultimo mezzo secolo. Cito alcuni autori di questa pubblicistica: Robert Cooper 2003 (The Breaking of Nations), Jeremy Rifkin 2004 (Il sogno europeo), T. R. Reid 2004 (The United States of Europe), Mark Leonard 2005 (Why Europe Will Run the 21st Century), Glynn Morgan 2005 (The Idea of a European Super State).

Dunque, un’ Europa in crisi nei giornali e trionfante nei libri? Si potrebbe dire proprio così. Ma se della crisi si fa fatica a trovare una dimostrazione intellettualmente dignitosa, è pur vero che il quadro di un’ Europa fiacca, ormai priva d’ incidenza sulla storia del mondo sta sotto i nostri occhi: assenza di una propria linea nelle grandi questioni della sicurezza e della politica estera, spreco immenso di risorse dovuto al rifiuto di unire le forze per obiettivi comuni, ridicolo sfoggio di parsimonia nel comprimere il bilancio comunitario, impudichi litigi sulla destinazione di quei pochi fondi, liti sul patto di stabilità.

Ecco, la letteratura del successo considera l’ Europa cosa fatta, mentre fatta non è. L’ Unione Europea non è ancora una unione; manca un patto fondante in forza del quale lo stare insieme, il decidere insieme, l’ agire insieme siano assicurati non solo nell’ accordo ma anche nel disaccordo. Nella politica (che tratta del potere) non c’ è una possibile nuova formula di unione, così come nella meccanica (che tratta del moto) non ci sono formule che possano liberarci dalla forza di gravità o regalarci il moto perpetuo.

L’ Europa è incompiuta non solo per il motivo banale che la storia è sempre incompiuta; lo è per il fatto più specifico e inquietante di non avere ancora attuato il proprio stesso disegno di unione. I benefici che oggi essa trae dall’ aver posto mano a quel disegno unitario vanno oltre il merito fin qui acquisito. Prima ancora di essere fatta, l’ Europa già vive di rendita.

Proprio qui, a mio giudizio, si avvolge la spirale della malinconia europea. «La sola cosa che dobbiamo temere è la paura stessa» disse Roosevelt per scuotere l’ America dalla Grande depressione. La depressione, l’ umor nero, degli europei è a un tempo causa ed effetto delle occasioni mancate, del tempo trascorso invano, della paura di completare l’ opera. La cattiva coscienza del nostro saturnino ritardo, dell’ immeritato vantaggio in cui ci culliamo, questa cattiva coscienza alimenta la nostra malinconia e paralizza l’ Europa.

Nel mondo di oggi sta rapidamente incubando il ritorno di una configurazione che l’ Europa ha conosciuto bene: l’ alternarsi di equilibrio, egemonia, alleanze contrapposte, minacce, guerre, tregue. Crescono le aspirazioni e la capacità d’ influenza di giganti come Cina, Russia, India, Brasile, Messico, Iran, Nigeria. E intanto si affollano sfide che eccedono la capacità di governo anche dei maggiori Paesi: la sicurezza contro il terrorismo, l’ ascesa del continente asiatico, lo scarseggiare di energie rinnovabili, l’ instabilità del mercato internazionale, le minacce del clima.

Molti fattori pongono noi europei in una posizione unica per contribuire a un ordine mondiale più civile e sicuro. Abbiamo conoscenza, per averlo sperimentato fino alla catastrofe finale, del carattere precario e insostenibile del sistema delle sovranità illimitate. Abbiamo responsabilità, un debito morale e politico, per avere imposto al mondo i costi delle nostre lotte interne, del dominio coloniale e per avergli fornito il cattivo modello in cui dimora il germe delle guerre distruttive. Abbiamo risorse, mezzi per svolgere un ruolo influente negli affari del mondo; già oggi siamo i primi fornitori di aiuto allo sviluppo e non viviamo a credito. Abbiano principi, perché accettiamo la solidarietà e il multilateralismo quali elementi costitutivi dell’ ordine mondiale. Abbiamo credibilità, per avere già messo nel nostro terreno, e iniziato a far crescere in modo promettente, il seme di una diversa configurazione delle relazioni tra Paesi.

Come le due guerre che chiamiamo mondiali sono state in realtà guerre europee, così forse oggi l’ unica pace mondiale possibile, che sia pace e non illusoria tregua, è una pax europea.

Sono passati quasi sessanta anni da quando Churchill pronunciò a Zurigo uno dei discorsi più memorabili dell’ ultimo secolo: «C’ è un rimedio alla tragedia dell’ Europa» disse Churchill. «Il rimedio è di ricreare la Famiglia Europea. Dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti d’ Europa», «il senso di un patriottismo allargato e di una cittadinanza comune»; «Ma vi devo avvertire. Il tempo può essere breve. Oggi c’ è uno spazio aperto».

Sei anni prima, in soli cinque giorni, quasi da solo, egli aveva rovesciato le sorti della guerra trasmettendo al Paese la furiosa determinazione «che l’ Inghilterra avrebbe continuato a combattere, qualunque cosa fosse accaduta». Hitler non perse la guerra in quei giorni; ma quelli furono i giorni in cui gli sfuggì la possibilità di vincerla.

Come non riconoscere in Churchill i segni del furore, della follia, dell’ eroismo, dell’ esaltazione spirituale che per Platone sono tipici dell’ humor melancholicus? Ma della malinconia Churchill conosceva anche la cupa disperazione, il senso dell’ abisso, la solitudine desolata che egli, chiamava «il cane nero» aggrappato alla sua schiena. Riflettendo in una prospettiva etica e religiosa, Romano Guardini (Ritratto della malinconia, 1993) osserva che la malinconia è «la nostalgia di ciò che semplicemente è perfetto», «il prezzo della nascita dell’ eterno nell’ uomo».

C’ è un’ opera da completare, che chiede e merita gli sforzi e i sacrifici dei giovani di oggi. Allora: non scoraggiatevi, non perdete la spinta che vi ha accompagnato negli studi, non rifugiatevi nel solo privato, non abbracciate l’ idolo della carriera o del guadagno, non rivolgetevi allo psicologo. Datevi invece, sceglietevi, punti di riferimento. Dalla malinconia si esce guardando in alto dentro se stessi. Il discorso Riportiamo in questa pagina una parte della prolusione, intitolata «L’ Europa della malinconia», tenuta da Tommaso Padoa-Schioppa, presso l’ Università Luigi Bocconi di Milano, in occasione dell’ inaugurazione dell’ anno accademico 2005-2006 In cerca della «Pax Euroislamica» Al futuro dell’ Europa e alle sue prospettive politiche «Aspenia», la rivista di Aspen Institute Italia, dedica il nuovo numero. Tommaso Padoa-Schioppa esamina i modelli possibili di sviluppo per l’ Unione. Il periodico affronta anche la questione dei rapporti con i Paesi del Medio Oriente. Sotto il titolo «Pax Euroislamica» si analizzano i punti di contrasto con il mondo arabo e le possibilità di superarli. «Aspenia» ospita anche una conversazione con Tony Blair.

Vedi l’articolo in pdf

Stampa Stampa
Data
30 ottobre 2005
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera