Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 30 aprile 2004

La via competitiva dei nuovi europei

Quale orizzonte economico per l’Unione


La frontiera della giovane Unione europea si sposta a est, come due secoli fa andò spostandosi a ovest quella della giovane federazione americana. Possiamo interrogarci sul valore economico dell’ allargamento, pur sapendo quanto sia difficile separarlo da quello politico, culturale e strategico.

Da qualche anno, consumatori, imprenditori e governi dell’ Unione sono in preda alla malinconia che paralizza e sfianca. Così, nel segno dell’ umore nero vedono anche l’ ingresso nel loro mercato di dieci nuovi Paesi. Dovrebbero invece vedervi un’ occasione provvidenziale, perché con l’ ingresso di quei Paesi tutta l’ Europa si arricchisce della miscela di bisogni, risorse, istituzioni, in cui sta il segreto della crescita economica.

In primo luogo, i bisogni. I nuovi entranti aggiungono meno del 5% al prodotto lordo dell’ Unione, ma il 20 alla sua popolazione. Il divario tra le due cifre misura il dislivello da colmare: bisogno di case migliori, mobili confortevoli, elettrodomestici, automobili, vestiti, viaggi, strade, aeroporti. Dunque più lavoro e più investimenti, un immenso cantiere.

In secondo luogo, le risorse: un alto livello d’ istruzione combinato con stipendi e salari fortemente competitivi. È la stessa combinazione, seppure in forma meno pronunciata, che fa la fortuna delle economie asiatiche.

In terzo luogo, le istituzioni: una democrazia ritrovata, una legislazione moderna e omogenea alla nostra, mercati flessibili e reattivi. Una gigantesca opera di ricostruzione è già stata compiuta dal crollo del sistema sovietico a oggi, trascinata proprio dalla prospettiva dell’ ingresso nell’ Unione.

Giova, infine, la dimensione dei nuovi Stati membri: dei dieci entranti, sei sono meno popolati dell’ Irlanda che oggi è – Lussemburgo a parte – il Paese più piccolo dell’ Unione. Da molti anni i Paesi piccoli sono i più vitali e dinamici in Europa; sono liberi da illusioni di autosufficienza e restii a tenere forzosamente in vita compagnie di bandiera inefficienti nell’ industria e nei servizi.

Non è vero che l’ allargamento avvantaggi i nuovi a spese dei vecchi. Per le imprese europee in cerca di mercati ove vendere impianti, servizi e prodotti sofisticati, o di un ambiente in cui insediarsi con propri investimenti, le nuove regioni dell’ Europa sono il mercato migliore; sono anche un trampolino verso altri Paesi dell’ oriente europeo, come Ucraina, Russia, Georgia.

L’ ampliamento dell’ Unione obbligherà i vecchi a completare riforme economiche faticose ma necessarie: alleggerire pesanti apparati pubblici, moderare i lussi, riconvertire le produzioni, accentuare la concorrenza, ridurre le protezioni. Sono passi indispensabili alla sopravvivenza economica e politica dell’ Europa, imposti dalla globalizzazione e dalla decenza, prima e più che dall’ allargamento.

Il cammino che si apre sarà lungo. Se il gruppo dei nuovi crescesse di 5 punti l’ anno più di noi (per esempio, loro al 7, noi al 2 per cento) ci metterebbe più di dieci anni solo per raggiungere il nostro reddito medio pro capite. La sfida per i nuovi entranti è di far durare i loro vantaggi competitivi abbastanza a lungo da colmare il ritardo. Così fecero l’ Italia negli anni ‘ 50 e ‘ 60, e l’ Irlanda negli anni ‘ 80 e ‘ 90. L’ ampliamento non dà un effimero tonico congiunturale, cambia strutturalmente l’ economia europea.

L’ Europa è spesso incerta se soffrire o godere del proprio declino. L’ allargamento le regala un gruppo di Paesi il cui declino durò decenni, che credono all’ Europa più di quanto sembriamo crederci noi in questo momento, che possono scuoterci dall’ umore nero e dalla malinconia.

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Data
30 aprile 2004
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera