Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 14 luglio 2005

La vera sicurezza e la retorica

Le frontiere aperte e la scelta di Parigi.


La riunione straordinaria dei ministri dell’ Interno a Bruxelles e l’ intervento di quello britannico al Parlamento europeo sono manifestazioni di quanto la cooperazione europea sia riconosciuta come elemento essenziale di un efficace contrasto al terrorismo. Che le azioni comuni decise dopo gli attentati di Madrid procedano con lentezza è manifestazione di quanto la capacità dell’ Unione di decidere di agire come pieno soggetto politico sia ancora insufficiente.

È indubbio che un’ Europa davvero unita potrebbe fare assai di più. Eppure, già oggi, proprio il ministro dell’ Interno britannico ha dichiarato che la collaborazione europea «ha fatto la differenza» nel permettere la rapida identificazione di persone probabilmente coinvolte negli attentati di Londra.

A Bruxelles è stata discussa, e in linea di massima deliberata, una più rapida adozione di misure di cooperazione decise, all’ indomani degli attentati di Madrid, in materia di archiviazione di dati telefonici, scambio di informazioni, controllo sui trasferimenti di fondi, esplosivi.

La sospensione per un mese dei cosiddetti accordi di Schengen da parte della Francia, di cui aveva già riferito il ministro Pisanu in Parlamento, va capita e giudicata in questo contesto; non va travisata.

Quegli accordi crearono uno spazio comune entro il quale persone e cose si muovessero liberamente, senza controlli, così come è uso entro le frontiere di uno stesso Paese. Furono inizialmente stipulati nel 1985 tra Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo in un Trattato posto al di fuori dei meccanismi giuridici e istituzionali della Comunità europea (poi divenuta Unione). Solo nel 1999 vi furono completamente integrati. Oggi vi aderiscono 13 Paesi. Non il Regno Unito e l’ Irlanda, non ancora i dieci che sono membri dell’ Unione solo dal maggio 2005.

Gli accordi stessi prevedono il ripristino, in circostanze eccezionali, dei controlli alle frontiere nazionali. Che in una fase di grave pericolo quella clausola sia utilizzata e la frontiera dello spazio politico comune cessi di essere l’ unico luogo in cui le forze a difesa dell’ ordine interno fermano i cittadini, chiedono loro documenti, effettuano verifiche di identità, non ha nulla di sorprendente. Non è rottura dello spazio comune, è rafforzamento del suo presidio. È misura che in ogni momento di emergenza o di accresciuto pericolo vediamo prendere entro le frontiere di ciascuno dei nostri Paesi.

Interpretare la decisione francese come rottura di una troppo debole e inefficace «Europa della sicurezza» sarebbe un travisamento dei fatti, conforme alla euroretorica negativa oggi di moda.

Suggerire che senza Schengen saremmo più sicuri è una falsità. Ce lo ricorda, in modo tragico e triste, il fatto stesso che il Paese europeo dove il terrorismo ha appena colpito, il Regno Unito, sia un Paese che a Schengen non aderisce.

L’ evoluzione dell’ Unione Europea è da quasi 15 anni sulla linea di congiunzione tra unione economica e unione politica. Semplificando, si potrebbe dire che la prima ha per oggetto la ricchezza, la seconda la sicurezza. Ho scritto «linea» di congiunzione, ma sarebbe più appropriato parlare di «fascia»; una molto ampia fascia nella quale s’ incontrano e spesso coincidono competenze, esigenze, disposizioni che appartengono contemporaneamente alla produzione e circolazione della ricchezza e alla tutela della sicurezza. Non vi è dubbio che proprio in questa fascia si colloca la frontiera – non geografica ma funzionale – del progredire dell’ Unione verso uno spazio non solo di benessere, ma anche di pace interna.

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Data
14 luglio 2005
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera