Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 8 dicembre 2003

Il rebus del voto davanti all’unione

Niente Costituzione senza la fine dell’unanimità


Non sappiamo ancora se venerdì a Bruxelles ci sarà accordo sulla nuova Costituzione europea, ma sappiamo che ciò dipende ormai da un punto: come votare nel Consiglio dell’ Unione. Sembra una diatriba tecnica e invece è una fondamentale questione di democrazia e di efficienza; purtroppo il condominio europeo unisce l’ arte di litigare a quella di rendere incomprensibile l’ oggetto del litigio. Qui l’ oggetto è il passaggio dal voto ponderato alla doppia maggioranza.

Il Consiglio dell’ Unione è la più potente tra le istituzioni europee. Formato dai ministri dei Paesi membri, approva le leggi europee, ma decide anche il prezzo del latte e il discorso da tenere al Fondo Monetario. È potente perché, riunendo i detentori principali del potere, tiene le chiavi dell’ Europa.

Il Consiglio dovrebbe curare il bene dell’ Unione, essendone un organo. Nei fatti tuttavia ogni ministro si cura soprattutto del proprio Paese, per lui vera fonte di potere e di legittimazione. Spesso addirittura, invece di deliberare a favore dell’ interesse europeo, egli si coalizza coi colleghi contro l’ Europa (clamoroso l’ esempio, giorni fa, del Patto di Stabilità). I nani operosi che immobilizzano l’ Europa dormiente, fino a renderla impotente e talora ridicola, sono i governi riuniti nel Consiglio.

Il cuore del meccanismo bloccante è, ovviamente, il modo di decisione. Massimo con l’ unanimità, che lascia immobilizzare il gigante anche al più piccolo dei nani. Ma importantissimo anche quando si decide a maggioranza, perché dal meccanismo dipendono sia l’ efficienza sia la legittimità del decidere europeo.

Ebbene, il progetto di Costituzione propone un meccanismo nuovo: la doppia maggioranza anziché il voto ponderato, inventato a Roma nel 1957 per una Comunità a sei, poi faticosamente adattato all’ entrata di nuovi Paesi sino a quando, a Nizza, se ne fece un mostro. Col nuovo metodo, una decisione potrà essere presa ogniqualvolta l’ approvi «una maggioranza di membri che rappresentino almeno il 60 per cento della popolazione dell’ Unione».

La doppia maggioranza ha essenziali qualità oggi mancanti. È semplice e comprensibile, requisito primordiale della democrazia. Resiste al cambiamento, adattandosi senza scosse al crescere dell’ Unione. Soprattutto, rende impossibili decisioni volute soltanto da una minoranza di Paesi o da una minoranza della popolazione. In tal modo esplicita la duplice natura dell’ Europa, che è unione di Stati e di popoli. Doppia natura, dunque doppia legittimazione.

Col nuovo metodo i Paesi piccoli manterranno un potere molto superiore alla loro dimensione. L’ Estonia (1,3 milioni) avrà un Commissario come la Germania (82,5 milioni). Per ogni deputato a Strasburgo la Francia spenderà il decuplo dei voti popolari bastanti al Lussemburgo. I 13 Paesi più piccoli, con circa un decimo della popolazione, potranno impedire una decisione. Il privilegio dei piccoli è caratteristico di tutti i sistemi federali. Ma deve avere un limite se si vuole una vera unione, cui i grandi siano interessati.

Si oppongono fortemente al nuovo metodo, sino a minacciare la rottura, soprattutto Spagna e Polonia, che perderebbero un immenso potere di bloccaggio strappato tre anni fa a Nizza. Allora, timorosa che il nuovo trattato non portasse il nome di una sua città, la Francia soggiacque a un freddo ricatto.

I compromessi sono animali volanti immaginati a un tavolo da disegno. Nell’ immediato, il loro successo si misura dal fatto che quel disegno piaccia a tutti. Ben presto, però, si misura dalla capacità di volare dell’ animale. L’ animale di Nizza non poteva volare, e non volò. A Bruxelles non si può né ripetere quell’ errore, né varare una Costituzione che lasci irrisolta la questione del voto.

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Data
8 dicembre 2003
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera