Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 14 luglio 2003

Il male immaginario dell’Europa

La deflazione non c’è, ma serve più dinamismo

Non sono ancora asciutte le lacrime versate sul male immaginario dell’ inflazione da euro, e già si piange sulla deflazione. A dare l’ allarme ci si è messo, incautamente, perfino il Fondo Monetario Internazionale.

Da quando non è più d’ oro o d’ argento, il denaro non ha valore intrinseco; diversamente da ogni altro bene vale non per quanto costa produrlo ma per ciò che compra. Produrre un biglietto da cento euro costa circa dieci centesimi (assai di più per i falsari).

L’ inflazione la conosciamo: è un aumento continuato del livello generale dei prezzi. L’ abbiamo sofferta in Italia per oltre vent’ anni, fino a metà degli anni Novanta e, già prima, negli anni Quaranta.

Abbiamo visto quanto essa sconvolga i calcoli economici, distrugga e ridistribuisca capricciosamente la ricchezza, imponga fatiche inutili.

La deflazione (un calo continuato del livello generale dei prezzi) è invece una malattia rara. Il Giappone ne soffre da qualche anno in forma leggera, mentre qui da noi nessuno l’ ha patita direttamente. I ricordi che se ne tramandano, però, sono terribili, come la fame e la disoccupazione di massa nell’ America e nell’ Europa degli anni Trenta.

Cerchiamo di capire che natura abbia questa malattia e se essa davvero incomba.

Con la deflazione, il potere d’ acquisto del denaro cresce, così come con l’ inflazione cala. Per entrambe occorre che il rialzo o il calo dei prezzi sia «continuato» e «generale». Se non è continuato, il valore muta una volta sola, ma poi subito torna stabile; dal metro si passa alla iarda (91 centimetri), è scomodo ma ci si abitua presto, come fu con la conversione all’ euro. Se non è generale, cambia il prezzo di alcuni beni, ma non il valore della moneta (l’ energia, le vacanze al mare, il telefonino). Il denaro in quanto tale perde o guadagna valore solo se si muove il prezzo di quel bene immaginario che è il complesso di tutti i beni e servizi consumati da tutti coloro che usano quella moneta.

Le simmetrie finiscono circa qui.

L’ inflazione non è in genere innescata dal troppo denaro in circolazione, ma ha bisogno di sempre nuovo denaro per andare avanti; poiché il metro si accorcia, ci vogliono sempre più metri per misurare la stessa lunghezza. Tutti concordano che, se la somministrazione di moneta non continua, l’ ascesa dei prezzi a un certo punto si ferma. Perciò l’ inflazione è un fenomeno monetario.

Non così la deflazione, che per durare non ha bisogno d’ alcun atto permissivo della politica monetaria. Inoltre, l’ aumento continuo dei prezzi può bene accompagnarsi, come spesso ha fatto, a crescita economica; il calo generalizzato è pressoché inseparabile da un fermo di consumi, investimenti, produzione. La deflazione, dunque, non è un fenomeno monetario.

Si può chiedere: che male c’ è se cento euro valgono oggi più di ieri e se domani varranno ancor di più? Effettivamente, c’ è una deflazione buona.

Nessun male, anzi un bene, quando l’ apprezzamento del denaro avviene in un’ economia dove crescono reddito, efficienza e produttività. Ma c’ è anche la deflazione cattiva, che deriva da regresso o crollo della produzione, dei consumi, degli investimenti. Una malattia ancor peggiore dell’ inflazione perché si accompagna a inconvenienti ancor più gravi del continuo cambiamento dell’ unità di misura.

Infatti, se i cento euro in tasca crescono di valore rendendo uno più ricco, le rate del mutuo e quelle dell’ auto diventano più pesanti rendendolo più povero; l’ appesantirsi dei debiti manda sul lastrico famiglie e imprese. Nello stesso tempo, l’ attesa che tutto diventi meno caro induce a rinviare il più possibile ogni spesa: una spirale nefasta di fallimenti, licenziamenti, disoccupazione, povertà, minori spese, nuovi tagli dei prezzi. Un vero flagello: non cambia solo la misura delle cose, cambiano le cose.

Svegliamoci dal brutto sogno. In Eurolandia non c’ è, né si intravede, calo continuo e generalizzato dei prezzi. I prezzi sono stabili, anzi in leggero aumento. Però, dicono alcuni, il pericolo c’ è in Germania.

No, neppure in Germania c’ è un calo diffuso dei prezzi. Per di più, se ci fosse, non potremmo parlare di deflazione perché, come abbiamo detto, aumenti e cali devono essere generali, non per singoli beni, settori, o regioni. Nell’ Europa monetaria, l’ Italia e la Germania sono solo regioni, proprio come la Sassonia e l’ Andalusia. Se poi davvero in Italia o in Germania ci fosse un calo diffuso dei prezzi e dei salari, esso sarebbe il segno che quelle regioni stanno, con pena ma anche con vantaggio, guadagnando competitività. Un processo simile a quello di una svalutazione del cambio.

Il male di cui soffre l’ economia europea non è la deflazione, è la fiacchezza della crescita, la mancanza di dinamismo e di innovazione.

A diagnosticargli un male che non ha, il malato non è certo aiutato ad affrontare il male vero.

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Data
14 luglio 2003
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera