Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 6 giugno 2003

Il cammello di Giscard

Due criteri per giudicare la Convenzione

Domani i capi di Stato e di governo europei, riuniti a Salonicco, riceveranno da Giscard d’ Estaing la proposta di trattato costituzionale. All’ assemblea che l’ ha redatta avevano dato carta bianca e il nome evocatore di Convenzione, lo stesso dell’ assemblea che a Filadelfia concordò la Costituzione americana ancora oggi vigente.

Sappiamo per certo che a Bruxelles nel 2003 non si è ripetuto il miracolo avvenuto nel 1787 a Filadelfia. Proprio miracolo fu il termine usato da George Washington, che aveva presieduto i lavori. Sei settimane di riunioni a Filadelfia, oltre sessanta a Bruxelles.

Basta un punto a darci la certezza. La regola dell’ unanimità, vinta la battaglia dell’ ultimo giorno, continua a regnare in Europa. A Filadelfia, invece, l’ unanimità fu deposta dal trono; e non nell’ ultimo, bensì nel primo giorno dei lavori, quando i delegati decisero di deliberare a maggioranza.

Non è un accidente della storia che nessuna Costituzione esistente al mondo preveda la regola dell’ unanimità per l’ esercizio anche di uno solo dei propri compiti. Non è un accidente, perché quando prescrissero l’ unanimità, quelle Costituzioni subito scomparvero dalla storia e dalla geografia: la specie tarata non sopravvive. L’ unione c’ è solo se si può decidere e agire insieme anche nel disaccordo. Non è questione di Stato o superstato. Uno Stato minimo (con poche funzioni) non ha nulla a che vedere con uno Stato inetto (incapace di esercitare le sue funzioni, poche o tante che siano). Anzi, più è debole più si fa invadente. Le gride manzoniane e le migliaia di leggi italiane insegnano. E l’ Unione Europea smetterebbe di fare leggi sulla lunghezza degli ortaggi se avesse una difesa comune.

A Bruxelles il miracolo era possibile, ma è stato impedito da una catena di errori che occorrerà esaminare lucidamente. Si è persa una straordinaria occasione, che forse non si ripeterà. Nel suo lungo cammino verso l’ unione politica l’ Europa ha fallito la meta quando era a portata di mano.

Se possiamo già oggi tirare quest’ amara conclusione, assai più difficile è stabilire quali e quanti passi avanti l’ Europa tuttavia faccia, o se invece indietreggi. Per capirlo, occorrerà esaminare la bozza di trattato attentamente e senza pregiudizio. Bisognerà studiarne a fondo l’ impianto e individuare bene le iniziative politiche che consente. È un esame da fare con umiltà, nel ricordo che sia i federalisti europei sia Jean Monnet in persona sottovalutarono grandemente, a suo tempo, quanto il trattato di Roma del 1957 consentisse di fare.

Il nuovo testo è più che un compromesso, è un coacervo di compromessi: tra grandi e piccoli Paesi, tra Commissione e governi, tra Parlamento e Consiglio, tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo, tra unione e divisione. Ebbene, esistono compromessi virtuosi e compromessi perversi. Quelli che riescono solo a mettere d’ accordo tutti per un attimo, ma producono mostruosi animali immaginari, che non volano e non camminano; e quelli che, inventando una conciliazione tra istanze ritenute incompatibili, generano a nuova vita le comunità umane. Si dice con spregio che un cammello è un cavallo disegnato da un comitato. Ma il cammello è un nobile animale capace di imprese che un cavallo non saprebbe compiere.

Quale metro useremo per misurare la qualità del compromesso che la Convenzione propone? Ve ne sarà uno solo: la capacità del nuovo trattato di permettere – anzi di favorire – i passi ulteriori verso l’ unione che esso ha mancato. L’ unione europea è stata finora un cammino; guai se il nuovo trattato le avesse inchiodato i piedi alla terra.

Neppure l’ ausilio di questo metro renderà facile il giudizio. Ma questo è il metro da usare. Esso ci dirà se il cammello disegnato da Giscard sarà capace di traversare il deserto.

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Data
6 giugno 2003
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera