Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 16 novembre 2002

I confini diversi d’Europa

Turchia sì o no?


Nella lunga strada della sua pacifica unificazione Europa è entrata vestendo l’ abito dimesso di un aggettivo declinato al femminile: europea. La dignità del sostantivo era riservata ad altre parole, come comunità, carbone, acciaio, difesa, unione.

Ora il presidente della Convenzione europea, Valéry Giscard d’ Estaing, propone di dare a Europa l’ abito stupendo del sostantivo e di segnarle un confine geografico. Europa unita è il nome proposto; e il confine dovrebbe, nell’ opinione personale di Giscard, lasciar fuori la Turchia. Ma che vuol dire Unione? e dove finisce Europa?

Riflettere sulle parole qui brevemente evocate, sul loro susseguirsi nel tempo, sul passaggio da un aggettivo all’ altro, da un aggettivo a un sostantivo, non è un gioco di parole; è un veicolo per viaggiare nella storia dell’ unificazione europea e per entrare nel cuore stesso dei dilemmi di oggi. Dilemmi ardui, dalla cui soluzione dipende, non è esagerato dirlo, il futuro della presente e di molte generazioni a venire, nel nostro continente e nel mondo intero.

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Vediamo la sequenza degli aggettivi. La Comunità nacque nel 1950 e fu prima solo «del carbone e dell’ acciaio» (fino al 1958), poi «economica» (fino al 1998), poi anche «monetaria» (dal 1999). Aveva persino tentato, senza riuscirci, di diventare comunità «di difesa» (1953-’ 54). Gli aggettivi servivano a limitare il campo nel quale si realizzava l’ unificazione, a circoscriverne l’ oggetto. E proprio la limitatezza dell’ oggetto, permetteva di praticare un metodo forte. La combinazione di metodo forte e oggetto limitato fu una geniale invenzione del francese Jean Monnet (1888-1979), che rese accettabili parziali rinunce di sovranità anche a Paesi, uomini, gruppi politici per i quali la sovranità senza limite dello Stato nazionale era ancora un principio assoluto. Il carbone e l’ acciaio divennero beni amministrati in comune; la frontiera doganale scomparve nel territorio della Comunità e divenne solo una frontiera con l’ esterno.

Per anni e decenni a Europa non furono segnati chiari confini; né funzionali né geografici. Non si diceva né si sapeva dove Europa finisse. Per la geografia, si era stabilito fin dal 1950 che avessero diritto d’ ingresso tutti i Paesi «europei» che condividessero i principi e le disposizioni del Trattato. Quanto all’ oggetto, esso era definito di volta in volta.

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L’ aggettivo «economica» resse tutto il peso dell’ unificazione per quasi trent’ anni: merci, capitali, servizi, persone ricevettero da una lex europea il diritto di circolare liberamente. Si intensificarono i traffici tra i Paesi; sempre più italiani comperarono auto Volkswagen e formaggio francese; sempre più francesi e tedeschi comperarono pasta Barilla e frigoriferi Ariston. Il benessere crebbe come nessuna precedente generazione mai l’ avesse visto crescere prima.

Poi, nel 1986, l’ ipotesi che l’ unione potesse essere anche «monetaria» si affacciò nel Trattato. Il nuovo aggettivo fece il suo ingresso in modo sommesso e quasi inelegante; il termine «unione economica e monetaria» fu scritto tra parentesi, a modesto complemento di un titolo inoffensivo come la «Cooperazione nella politica economica e monetaria».

Ma già nel giugno 1988 i capi di Stato o di governo rileggevano quelle parole in tutt’ altra chiave, affermando di avere, allora, «confermato l’ obiettivo di realizzare progressivamente l’ unione economica e monetaria». E in una notte di tre anni e mezzo dopo (dicembre 1991), nella città olandese di Maastricht dove una palla di fucile vagante aveva ucciso d’ Artagnan, essi concordarono che le monete nazionali sarebbero state sostituite (entro il 1° gennaio 1999) da un’ unica moneta europea, governata da una sola banca centrale.

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In quella stessa notte, senza smettere le vesti di aggettivo declinato al femminile, Europa venne data a un nuovo sostantivo: non più «Comunità», bensì «Unione», unione tout court, senz’ altro aggettivo che «europea». Interamente politica era dunque la nuova creatura, anche se (come in ogni Costituzione) l’ aggettivo «politico» era sottinteso. L’ espressione «unione politica» era scritta a chiare lettere nel messaggio che Kohl e Mitterrand avevano inviato ai colleghi degli altri Paesi, pochi giorni dopo le prime elezioni libere nella Germania ex-comunista (marzo 1990): era ormai tempo di «accelerare il processo di unificazione europea fissando un calendario per la conferenza sull’ unione monetaria e tenendo parallelamente una conferenza sull’ unione politica».

Così, a Maastricht la Comunità economica europea (Cee) divenne parte di una più ampia costruzione a tre pilastri, chiamata Unione Europea. Al pilastro dell’ unione economica e monetaria si aggiungevano quelli di «una politica estera e di sicurezza comune» e di «cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale».

Europa unita o Unione Europea? Poco importa, perché i problemi da affrontare sono gli stessi nei due casi; Europa può ben conservare la semplice veste di aggettivo. Importa invece moltissimo che i due termini della locuzione scelta, qualunque essa sia, si realizzino davvero, senza inganno e senza timidezze. E le difficoltà sono enormi, sia per fare l’ unione sia per dare un confine all’ Europa.

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Fare l’ unione. Oggi, a dieci anni di distanza, dobbiamo dire con chiarezza che nella notte di Maastricht l’ unione politica non fu fatta. L’ unione si liberò allora degli aggettivi che ne limitavano l’ oggetto, ma mancò la sostanza del sostantivo. Due dei tre pilastri erano d’ argilla; e pioveva dal tetto. Perché? Perché mentre l’ oggetto, da limitato era divenuto esteso, il metodo, da forte era divenuto debole. Il passaggio dall’ economia alla politica era avvenuto solo nelle dichiarazioni, non nei fatti.

La mancanza d’ unione è sotto i nostri occhi: le tragedie e le minacce divampate dentro e tutto intorno all’ Unione negli ultimi anni (nei Balcani, in Israele-Palestina, in Cecenia, in Afghanistan, in Iraq) hanno trovato un’ Europa assente, i suoi Paesi impotenti. Uno per uno i Paesi europei sono palesemente incapaci di ciò che solo uniti possono realizzare: dare sicurezza ai propri cittadini, spegnere i fuochi di guerra oltre i confini, edificare un ordine mondiale di pace e di giustizia, alleviare la povertà nel mondo, contrastare la minaccia del terrorismo, proteggere la vita del pianeta. Impotenti e succubi, essi dimenticano che il tempo in cui avevano dimensione e forza alla misura dei problemi è passato per sempre.

L’ unione non c’ è; al di fuori del campo economico e monetario essa (aggettivo o sostantivo che sia) è una parola vuota, una velleità. L’ unione solo a parole pone i Paesi e i cittadini europei in una condizione di grande pericolo perché non solo impedisce loro di raggiungere gli obiettivi proposti, ma addirittura allontana dalla soluzione buona. C’ è unione solo quando, nel momento in cui si assume un obiettivo comune, ci si danno anche i mezzi per raggiungerlo. E i mezzi sono due: capacità di decidere, strumenti per agire. Il secondo e il terzo pilastro (politica estera, difesa, sicurezza interna, giustizia) sono d’ argilla, e l’ unione è velleitaria, perché l’ unione decide e opera solo nei casi in cui tutti sono d’ accordo.

Casi rarissimi, naturalmente; rarissimi in Europa come in qualunque Parlamento nazionale, o consiglio comunale, o assemblea di condominio. Rarissimi, e per di più impossibili a prevedersi; sicché di ogni questione non si può sapere in anticipo se l’ azione sarà europea o nazionale. Il che a sua volta implica che nessuno sia disposto a predisporre i mezzi (un bilancio, un esercito, un corpo di polizia, un’ agenzia degli armamenti, un’ autorità forte per l’ ambiente) per attuare la decisione europea nel caso miracoloso in cui l’ unanimità si realizzasse e l’ unione, per effetto di questo miracolo, venisse a esistere, per scomparire di nuovo subito dopo, non appena un solo Paese cambiasse idea. Finché non prende decisioni a maggioranza, l’ Europa unita non esiste.

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Dare un confine all’ Europa. L’ aggettivo «europea», che ha accompagnato il lungo cammino dell’ unificazione migrando da un sostantivo all’ altro, è stato per molto tempo al riparo da discussioni e interpretazioni. Che i confini d’ Europa siano incerti per due dei quattro punti cardinali (Oriente e Mezzogiorno) era noto da millenni; ma la cortina di ferro, correndo ben dentro l’ Europa, aveva per molto tempo nascosto il problema. Caduta quella, si è ripresentata l’ antica domanda «dove finisce l’ Europa?». Oggi la domanda non è più eludibile.

La Turchia, per secoli un impero minacciante l’ Europa da fuori, è oggi candidata ufficialmente a entrare nell’ Unione. I Paesi emersi dalla disgregazione della federazione Jugoslava hanno ricevuto, nei trattati di associazione all’ Unione, lo status di «potenziali candidati». Si è parlato d’ ingresso della Russia. Il Marocco fece domanda di adesione nel 1986. Gli Stati Uniti d’ America avevano una frontiera naturale nell’ Oceano Pacifico e la raggiunsero usando mezzi ormai messi al bando, come lo sterminio degl’ indiani o la guerra a Messico e Spagna.

Lingue, montagne, religioni, etnie, culture, sistemi politici e civili tracciano all’ Europa confini diversi. Nessun confine può essere pensato come quello oltre il quale l’ Europa possa ignorare ciò che avviene dall’ altra parte. Né il rapporto con chi sta oltre il confine può essere indefinitamente risolto offrendo l’ ingresso nell’ unione.

Per questo dare un confine all’ Unione e definire una politica estera europea sono diventate due parti di un’ unica strategia costituzionale e politica. L’ isolazionismo – tentazione permanente degli Stati Uniti – è precluso all’ Europa dalla storia e dalla geografia. In passato gli europei hanno esplorato e conquistato il mondo, praticato la tratta degli schiavi, depredato le colonie, imposto la propria religione, ciascun regno o Paese cercando il proprio «posto al sole» fino a pochi decenni fa (si pensi all’ Italia nella prima metà del secolo passato). Oggi l’ Europa può essere presente nel mondo solo come promotrice di pace, convivenza tra le culture, sviluppo economico. Sono beni di cui il mondo ha disperato bisogno e che l’ Europa – se unita davvero; usando la forza se necessario – può contribuire a edificare più di ogni altra potenza sulla Terra. Se unita davvero.

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Data
16 novembre 2002
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera