Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 5 aprile 2004

Elogio delle tasse (per ridurle senza danni)

Beni pubblici e bilanci familiari


Delle tasse dovremmo prima di tutto fare l’ elogio, ossia dirne bene. Le tasse sono il prezzo che paghiamo per procurarci strade, giustizia nei tribunali, istruzione, sicurezza ai confini, ordine interno. Il gergo economico li chiama beni pubblici. Ma l’ aggettivo non inganni: il bisogno che essi soddisfano è privato quanto lo sono la fame e il freddo. Pubblico è solo il produttore, e lo è perché quei bisogni, pur prettamente individuali, possiamo soddisfarli solo se ci aiutiamo a vicenda, organizzando una ronda alle frontiere, un tribunale, una scuola, che poi tutti utilizziamo. A tal fine costituiamo una cassa comune e concordiamo come contribuirvi. I beni pubblici hanno due caratteristiche: soddisfano bisogni elementari e nessuno sarebbe in grado di produrli solo per sé. Il bello delle tasse è che esse sono un modo civilissimo ed efficiente di far fronte alle spese comuni. Sono tra le migliori espressioni di una pacifica convivenza tra persone. Che non le si paghino volentieri è ovvio; ma chi non preferirebbe prendersi gratuitamente anche cibo e vesti nei negozi? Siamo abituati a fare il conto di casa «dopo le tasse». È un errore.

Un bilancio veritiero deve, tra le entrate, comprendere scuola, salute, sicurezza, accesso al tribunale, costruzione e manutenzione di strade; e, tra le uscite, le tasse. Di questo bilancio dovremmo controllare le voci «beni pubblici» con altrettanta cura che gli «acquisti nei negozi». Solo allora la nostra partecipazione alla cosa pubblica diverrebbe davvero efficace e responsabile: elimineremmo molte disfunzioni e avremmo più indulgenza per quelle che restano.

Inchieste giornalistiche documentano come oggi molte famiglie arrivino con fatica alla fine del mese; devono ridurre le spese e non riescono a risparmiare. Perché, allora, fare economie e rinunce solo per casa, vestiti, cibo, vacanze? Perché non sacrificare qualcosa anche dei beni pubblici? O invece esistono mezzi magici per evitare l’ una e l’ altra cosa?

Primo mezzo magico (vero): ridurre gli sprechi. In una società benestante come la nostra, c’ è spreco anche nel ceto medio, tanto per consumi privati quanto per beni e servizi pubblici. Ma occorre sapere che in fondo allo spreco vi è quasi sempre un lavoro di cui si può fare a meno: un servizio di cui non c’ è bisogno, o che richiede una persona invece che due, un lavoro fatto male e poi rifatto. Se tutti tengono il cappotto o la macchina per un anno di più, operai dell’ auto e del tessile perdono il posto. Anche gli sprechi nel settore pubblico sono posti di lavoro; e tra le famiglie che faticano a arrivare a fine mese, centinaia di migliaia sono di dipendenti pubblici. Dunque, la magica soluzione non è magica per tutti. È magica economicamente, ma socialmente e politicamente è, all’ inizio, penosa.

Secondo mezzo magico (illusorio): spendere a credito. Cambiare l’ auto, ma pagandola a rate; tagliare le tasse aumentando il disavanzo pubblico. In Italia abbiamo visto che così si arriva alla fine del mese, ma non alla fine dell’ anno o del decennio. Il governo fa bene a criticare il pesante debito pubblico ereditato e certo non potrà appesantirlo ancor più, fuori dall’ Europa ancor meno che in Europa.

Coi mezzi magici non si va lontano. Restano quelli non magici: ridurre sì le uscite del bilancio familiare, dunque anche le tasse, ma ridurre allo stesso modo le entrate, dunque i beni pubblici e privati. Non vi è proprio nulla di scandaloso nel guardare a tutto il bilancio, nulla di provocatorio nel voler ridurre le tasse. Pericoloso è illudersi che si possano ridurre le tasse senza ridurre il flusso di beni che esse acquistano, o senza ridurre l’ occupazione nel settore pubblico.

Vedi l’articolo in pdf

Stampa Stampa
Data
5 aprile 2004
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera