Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 29 aprile 2001

E ora dite qualcosa di europeo

Noi e gli altri


L’ Europa sembra prestare alle elezioni italiane più interesse di quanto ne riceva. A Bruxelles, Parigi, Berlino ci si chiede se Italia ed Europa rimarranno, l’ una per l’ altra, il saldo punto di riferimento che sono state per lunghi anni. Stupisce che in Italia si chieda e si dica tanto poco di Europa nel dibattito elettorale. Stupisce, perché per oltre cinquant’ anni l’ integrazione europea è stata la struttura portante della politica italiana e la Comunità il principale motore della nostra evoluzione economica, civile e istituzionale.

Fra neppure due mesi, al Consiglio europeo di Goteborg, quattordici capi di Stato e di governo incontreranno un presidente del Consiglio italiano a loro quasi sconosciuto. In quel particolarissimo club nel quale tutto è importante – dalle idee strategiche alla capacità di convincere, dalla conoscenza delle carte alla affidabilità personale, dall’ abilità negoziale al tratto umano – il nuovo venuto è sempre osservato e giudicato con grande attenzione. E’ accaduto a Margaret Thatcher e Mitterrand, a Kohl e Gonzalez, a Prodi e Schröder. Accadrà presto a Berlusconi o a Rutelli.

Pochi sanno che in quel club l’ Italia ha avuto più volte una parte di primo piano. Per fare tre esempi: si debbono soprattutto all’ abilità e alla fermezza di presidenti del Consiglio italiani, le decisioni fondamentali che hanno portato – nel 1977, nel 1985, nel 1990 – all’ elezione diretta del Parlamento europeo, al mercato unico, all’ euro. Moltissimi italiani ignorano che in Europa il loro Paese ha fatto, per decenni, grande politica, che il loro governo ha influito davvero sul corso della storia. E ignorano anche il capitale d’ influenza, prestigio, capacità che l’ Italia – la sua tanto biasimata classe politica – ha costituito nei decenni. Ogni governo l’ ha accresciuto e l’ ha trasmesso al successivo, quasi senza soluzioni di continuità.

Lunga è anche la lista delle riforme e dei progressi che l’ Italia ha realizzato per impulso europeo. Solo qualche esempio in materie economiche: dall’ apertura degli scambi all’ indipendenza della Banca d’ Italia; dalla legislazione sulla concorrenza alla liberalizzazione valutaria; dalle privatizzazioni al risanamento del bilancio. E sappiamo bene quanto legati all’ Europa siano anche il riacquisto della nostra dignità nazionale e il consolidamento delle istituzioni democratiche.

Tra Italia ed Europa (purtroppo a scuola non lo s’ insegna!) vi è stata dunque, nel volgere dei decenni, un’ influenza reciproca profonda, che ha migliorato e trasformato entrambe. Com’ è potuto accadere un tal miracolo in un Paese restio alla disciplina e alla continuità, malato d’ instabilità politica, dove lo Stato è debole? Il miracolo ha la sua causa più profonda nel convinto favore degli italiani all’ idea di un’ Europa unita, radicato nell’ universalismo romano, cristiano, umanista e risvegliato all’ azione dall’ infelice esperienza della dittatura e della guerra perduta. Ma nasce anche dalla consapevolezza che un’ intera classe politica ebbe della fortissima coincidenza tra interesse italiano e progresso dell’ unificazione europea. Di qui i due principi che hanno guidato la Repubblica: l’ accettazione dell’ influenza europea sugli sviluppi italiani; l’ impegno attivo dei governi a rafforzare il carattere sovranazionale e democratico dell’ Unione.

Se i nostri governi non avessero tenuto fermo il timone sulla rotta di questi due principi, resistendo anche a critiche e pressioni interne ed esterne, noi italiani non avremmo goduto, nell’ ultimo cinquantennio, la più felice combinazione di progresso economico e libertà civili che l’ Italia abbia conosciuto in molti secoli. Né avremmo ricevuto sostegno europeo in momenti difficili. Né la costruzione dell’ Europa unita sarebbe salita fin quasi al tetto.

Perciò l’ Europa chiede, e gli italiani dovrebbero chiedere con precisi e concreti riferimenti, se, su entrambi i principi, il nuovo timoniere, chiunque esso sia, manterrà la rotta; se nel rapporto tra Italia ed Europa vi sarà continuità o rottura.

Tanto più che altri elementi, oltre alla novità dei candidati, hanno mutato il quadro di ieri. Caduta la divisione bipolare del mondo, l’ Italia non ha più, da europei e americani, particolari indulgenze ricavate dalla sua posizione strategica e dalla presenza di un fortissimo partito comunista. Nello stesso tempo, l’ emergere del bipolarismo politico interno rischia di indurre i due schieramenti a differenziarsi anche dove non dovrebbero: se ciò già avviene per la libertà d’ informazione, non rischia di succedere anche per il rapporto dell’ Italia con l’ Europa? Soprattutto oggi, che la linea europeistica non presidia più il fronte dei conservatori europei come quando Kohl governava la Germania e forti partiti democristiani esistevano in Olanda e in Italia. Nelle sue memorie, Guido Carli racconta il vero e proprio esame di europeismo che dovette superare con i politici del tempo per divenire Governatore della Banca d’ Italia. Eppure, seri argomenti suggeriscono che la coincidenza tra interesse italiano e interesse europeo resta immutata, e che ancora sussistono i punti di forza che permisero all’ Italia di svolgere un ruolo di primo piano in Europa. Il sostegno dell’ opinione pubblica al progetto di un’ Europa unita rimane alto. La modernizzazione economica e il consolidamento delle strutture istituzionali e civili non sono compiuti.

L’ Italia resta collocata, anche dopo il crollo dell’ Unione Sovietica, sulle più critiche frontiere economiche, demografiche, militari dell’ Unione: l’ area del Mediterraneo e l’ Europa sud orientale. Doti molto italiane quali flessibilità, adattabilità, inventiva, scaltrezza, non le abbiamo perdute. Occorre solo che non venga meno l’ impegno attivo di chi governerà l’ Italia a tenere saldi i due principi che hanno ispirato, con straordinario successo, il rapporto tra Italia ed Europa negli ultimi cinquant’ anni.

Una campagna elettorale non è solo corteggiamento, è anche educazione dell’ elettore ed esame severo per il candidato. Per ogni candidato è investimento sul futuro suo e del Paese, preparazione del terreno su cui poi edificherà, come governante o come oppositore. Per ogni elettore è un’ occasione unica di riflettere e intervenire sulla cosa pubblica.

E’ lecito augurarsi che, nei prossimi quindici giorni, i due uomini tra i quali gli italiani sceglieranno il futuro capo del loro governo, parlino (meglio se dialogando direttamente, come si fa in ogni Paese) del patrimonio di rapporti italo-europei che aspirano ad amministrare, chiariscano pacatamente concordanze e differenze, parlando in modo comprensibile a tutti, per aiutare italiani ed europei a capire che cosa li attende.

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Data
29 aprile 2001
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera