Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 23 aprile 2006

Da dove ripartire

Le scelte di governo dopo il voto.


Il motivo per cui, in ogni consolidata democrazia, le formazioni politiche concorrenti (partiti, coalizioni, alleanze, secondo i casi) tendono a essere due e non più di due ha assai poco a che vedere con i problemi di cui si deve occupare un governo e con il numero delle loro soluzioni possibili, che è di solito superiore a due. Il motivo ha a che fare non coi problemi, ma col potere: è bina la distinzione tra maggioranza e opposizione, tra chi governa e chi non governa. E se per potere legittimamente governare occorre vincere le elezioni (come la democrazia richiede, pur con diverse e sempre imperfette tecniche elettorali), la reductio ad duos è solo conseguenza del dover costituire schieramenti capaci di vincere.
Ma quando si passa dalla scelta del chi governa a quella del come governare, lo schema da bino diviene plurimo. Non basta più lo spartiacque maggioranza-minoranza, governo-opposizione, vincitori- vinti; ognuna delle due formazioni si stende su un proprio ventaglio di soluzioni concepibili per quasi ogni questione e deve trovare in se stessa capacità di decisione e di sintesi. Poiché più soluzioni sono possibili per ogni questione (di giustizia, sicurezza sociale, immigrazione, infrastrutture, fiscalità), la matematica ci dice che il numero delle combinazioni possibili è quasi infinito; non è affatto detto che due persone concordi nel volere il ponte sullo Stretto di Messina concordino anche sulla separazione delle carriere di magistrati inquirenti e giudicanti o sulle unioni di fatto. Non riduzione a due, ma tot capita tot sententiae.
Ciò che è bino e ciò che è plurimo hanno ragioni d’essere ugualmente forti. È per questo che, nella sua intelligenza, la lingua inglese ha coniato parole diverse per i due diversi significati della politica: conquista del potere (politics) ed esercizio del potere (policy).
Il cittadino non si deve spazientire. Che la convivenza tra i due termini della politica sia difficile non è una patologia o il difetto di una particolare architettura istituzionale: è la vita stessa della polis. Vale per i compiti del Parlamento: ogni governo che abbia bisogno di un voto di fiducia assembleare (come è il caso di tutti i Paesi europei) implica che il Parlamento eletto dal popolo combini il taglio netto tra maggioranza e opposizione con il possibile dialogo su singole questioni. Vale per i sistemi elettorali: né il proporzionale né il maggioritario risolvono la tensione tra il dualismo governo- opposizione e il pluralismo delle culture politiche presenti in ogni schieramento. Vale per la scelta tra partito unico e coalizione: quale che sia la forma organizzativa degli schieramenti contrapposti, entrambi ospiteranno una certa varietà di punti di vista.
Gli anni Novanta hanno visto due grandi cambiamenti nella politica italiana: da allora il governante rischia la perdita del potere e la scelta di chi governa è compiuta direttamente dai votanti, non delegata ai partiti. Sono due cambiamenti che riguardano ciò che è bino, non ciò che è plurimo nella politica.
Ciò che nella politica è plurimo rimane e deve rimanere, senza mettere a repentaglio ciò che è bino e imporre il ritorno agli elettori. Non è venuta infatti meno l’esigenza di scegliere tra diverse soluzioni possibili, di trovare accordi entro la formazione vincente, di fare una sintesi che qualifichi e renda coerente l’azione di governo. Questa è materia non di architettura istituzionale ma di leadership, ed è il compito di chi, vincitore nella parte bina del gioco, si accinge a entrare in quella plurima, compiendo il passaggio dalla politics alla policy.

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Data
23 aprile 2006
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera