Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 18 marzo 2001

Crescita e lavoro. Modello europeo

L’esempio di Olanda, Irlanda e Finlandia


Le cattive notizie delle ultime settimane non devono far dimenticare che, se chiamiamo «miracolo» un evento favorevole ritenuto impossibile, quello che l’ America ha compiuto negli ultimi anni può ben dirsi un miracolo economico. L’ Europa dovrebbe ammirarlo e cercare di emularlo.

Negli ultimi dieci anni il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti è cresciuto di circa il 34 per cento, e in cinque di questi anni la crescita è stata pari o superiore al 4 per cento; in Europa la crescita cumulata non ha raggiunto il 20 per cento. Dal 1960 a oggi il numero di occupati negli Usa è più che raddoppiato, mentre in Europa è cresciuto solo di un quarto.

E’ diffusa una tesi pessimista secondo cui l’ Europa sarebbe condannata. O resterà in un circolo vizioso di poco mercato, rigidità, iper-protezione sociale; oppure diventerà America essa stessa, adottando in tutto e per tutto il rude modello americano di Stato e di società. Due corni di un dilemma ugualmente sgraditi da un punto di vista economico, sociale, politico.

Non condivido né l’ una né l’ altra versione della tesi pessimista. A entrambe contrapporrei una tesi della possibilità, che esprimerei così: il miracolo Usa non è irripetibile, né la formula americana è l’ unica atta a conseguirlo. L’ Europa può correre e vincere senza abbandonare il suo modello, purché ne corregga difetti ed eccessi. Ha già compiuto passi rilevanti. Molto le resta da fare.

Il modello europeo ha un proprio connotato di fondo nell’ estesa e solida rete di sicurezza sociale stesa dallo Stato, da altri poteri pubblici e istituzioni sociali. In tutta Europa, con specificità diverse da Paese a Paese ma secondo principi comuni, questa rete si è costi tui ta negli ultimi due secoli per soccorrere le classi umili, rimuovere la povertà, aiutare i disoccupati, garantire assistenza agli anziani, assicurare una pensione ai lavoratori e agli invalidi civili, una copertura sanitaria ad ampi strati della popolazione, un’ istruzione di base a tutti.

Grandi riforme del proprio assetto economico l’ Europa ne ha già compiute, soprattutto nell’ ultimo quindicennio: il mercato unico, la convergenza macroeconomica, l’ euro sono le più importanti. Riforme di enorme portata, forse maggiori di quelle compiute da ogni altra comunità di Paesi. Non dobbiamo dimenticare che, alla firma del Trattato di Roma (1957), le cosiddette quattro libertà (di circolazione di beni, servizi, capitali e persone) che i Paesi si impegnavano a darsi tra loro, non erano ancora realizzate nemmeno entro i Paesi stessi.

Molto però resta da fare per conciliare il modello europeo con le regole di una competizione mondiale. Nei servizi di pubblica utilità la concorrenza è ancora scarsa o assente. Nel mercato del lavoro le regole proteggono chi già ha un lavoro, non chi lo cerca. I mercati dei prodotti sono ancora fortemente irrigiditi da regole e divieti. I sistemi pensionistici sono finanziariamente insostenibili.

Il percorso da compiere è lungo, e va affrontato a più livelli: istituzioni europee, autorità nazionali, parti sociali, società nel suo complesso.

Della solidarietà sociale occorre correggere coraggiosamente istituti e strumenti, ma è un valore che non occorre sacrificare per crescere. Basta osservare alcuni Paesi per averne conferma. L’ Olanda e l’ Irlanda hanno dimezzato il loro tasso di disoccupazione nell’ arco di un decennio; la Finlandia, dalla metà degli anni Novanta, lo ha ridotto di più di 8 punti percentuali. Queste e altre economie in Europa hanno saputo combinare, seppure con diverse formule, tradizione di Stato sociale con importanti guadagni di competitività. Ognuno, come dicevano i latini, è fabbro della propria fortuna.

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Data
18 marzo 2001
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera