Tipo: Articoli Fonte: Corriere della Sera 3 marzo 2004

Crescita bloccata. Un male europeo

Da Bruxelles alle capitali in cerca di fiducia


Vi è da sperare che la rinascita economica divenga tema centrale nel dibattito elettorale che sta iniziando, perché parte essenziale della questione è proprio il nesso tra dimensione nazionale e dimensione europea.

Nella classe media, a 25 anni il nato nel 1945 non possedeva l’ automobile, faceva vacanze frugali, non impiegava sette anni per una laurea che ne prevede quattro, non aspettava il benessere per mettere su famiglia, scommetteva sul futuro. Però, se aveva fatto bene gli studi, trovava subito un lavoro, un affitto alla portata del suo primo stipendio, e dopo 15-20 anni poteva acquistare casa con un mutuo. Il suo figlio nato nel 1975 ha vissuto, alla stessa età, una situazione quasi rovesciata. Si è passati dall’ arricchimento di un povero all’ impoverimento di un ricco; il senso del declino sembra il corollario di un benessere sconosciuto a ogni precedente generazione.

Questa è una storia francese, tedesca, belga, olandese, oltre che italiana. In Italia, tuttavia, essa ha connotati e gravità particolari: non solo perché da noi persistono un ritardo di benessere e una povertà di beni pubblici, ma per la precarietà di cui ancora soffrono il senso delle istituzioni, il funzionamento della democrazia, l’ etica nella vita pubblica, la distinzione tra interesse generale e interesse di parte.

Per tutto il dopoguerra, l’ Europa ridusse progressivamente il ritardo sugli Stati Uniti; poi, circa 15 anni fa, ricominciò ad accumularne. Stretta tra i servizi ad alta tecnologia dell’ America e le manifatture a basso costo dell’ Asia, essa si bloccò. A Bruxelles legiferiamo sulla lunghezza delle zucchine, ma non facciamo la Costituzione né la difesa comune: meno realizziamo progetti importanti più ci trastulliamo in cose insignificanti. Abbiamo nello stesso tempo un eccesso e una carenza di Europa.

Eppure solo l’ Europa può dare cornice istituzionale e indirizzi di fondo per affrontare le sfide planetarie di oggi. Solo Bruxelles può esprimere una guida che dia speranza ai giovani, voglia di vivere e spendere alle famiglie, fiducia e desiderio d’ investire alle imprese. Su questi temi dovrebbero perciò confrontarsi le forze politiche di tutta Europa, proponendo programmi per la prossima legislatura e per la nuova Commissione.

Ma anche se i rimedi stanno in buona parte a Bruxelles, sarebbe un grave errore pensare che le politiche nazionali siano inutili o esenti da forti responsabilità.

Primo: in Europa vi sono, nonostante tutto, economie in crescita e altre stagnanti; e le differenze sono in larga misura conseguenza di comportamenti nazionali dei governi, delle classi dirigenti, della società nel suo complesso. Il Paese che opera meglio degli altri accresce la propria competitività e ottiene un premio, reso maggiore proprio dalla sua partecipazione all’ Europa. Allo stesso modo è più forte la penalizzazione per chi opera peggio degli altri.

Secondo: le politiche europee che bloccano la crescita vengono da Bruxelles, ma a deciderle sono i governi nazionali collettivamente. A Bruxelles ha, sì, sede il governo dell’ Europa, ma vi si riunisce anche il cartello dei poteri nazionali (il Consiglio) che impedisce all’ Europa di andare avanti. Questo cartello tiene ferme le politiche dell’ energia, della ricerca, dei trasporti, delle infrastrutture, blocca il bilancio comunitario, fa nascere i più assurdi eccessi di regolamentazione, rallenta l’ unione politica.

Quale politica europea a Bruxelles e nelle capitali? Ecco l’ intrecciarsi di temi nazionali ed europei, ecco il senso del parlare di rinascita economica in un dibattito elettorale che è, nello stesso tempo, europeo e nazionale.

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Data
3 marzo 2004
Tipo
Articoli
Fonte
Corriere della Sera