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Unioni diaboliche divisioni virtuose

7 ottobre 2002 @ 16:18 In 1 - La Globalizzazione, Mondo

Dall’Onu all’Europa, come vivere il disaccordo


Germania spaccata, scrisse la stampa dopo che Schröder e Stoiber si erano a lungo alternati nella posizione di futuro Cancelliere. America divisa, si disse quando Bush era diventato presidente degli Stati Uniti solo dopo che la Corte Suprema aveva vietato la verifica di poche schede, probabilmente lette male. Sinistra francese divisa, si commentò allorché – per la frantumazione dei suoi – Jospin non riuscì a passare il turno di un’ elezione presidenziale, che forse avrebbe vinto. Ulivo finito, leggiamo in questi giorni di rottura tra chi vuole mantenere e chi vuole revocare gli impegni italiani con l’ Onu. Europa divisa, si osserva confrontando Blair con Schröder, l’ uno pronto ad attaccare l’ Iraq in qualunque circostanza, l’ altro contrario in qualunque circostanza. Nazioni sedicenti Unite, si ironizza al cospetto dei veti che ne paralizzano il Consiglio di sicurezza.

Nonostante l’ uguaglianza degli aggettivi, i casi citati sono profondamente diversi. Schröder e Bush governano Paesi la cui unità è fuori discussione. Invece, di sinistra francese, Ulivo italiano, Europa, Onu non sappiamo se esistano davvero. Nei primi, la divisione è momento dell’ unione, suo modo di essere, addirittura suo cemento; negli altri, ne è la negazione, addirittura la distruzione. Sorprende che la distinzione sia tanto trascurata e che raramente ci si chieda quale ne sia la radice.

Possiamo domandare: che cos’ è un’ unione? Quand’ è che la divisione è segno di unione e quando non lo è? Una risposta c’ è. Per definizione, l’ unione è tra parti diverse. L’ unione esiste quando tra le parti diverse vi è una cosa comune, cui si attribuisce valore più alto delle differenze. Le differenze rimangono, ma sono reciprocamente accettate, arricchiscono il valore comune, traggono dall’ unione sicurezza e libertà.

Come si conciliano unione, cioè riconoscimento di una cosa comune, e disaccordo su come servire l’ interesse comune nel caso particolare (l’ elezione di un presidente, la linea europea sull’ Iraq, l’ invio degli alpini in Afghanistan, la scelta dell’ ascensore condominiale)?

Per conciliare unione e diversità, il genere umano ha inventato, nei millenni, un metodo semplice, semplice come lo è la ruota nel conciliare peso e movimento. Qui la ruota si chiama metodo maggioritario. Se nessuno può pretendere il monopolio della saggezza o il dominio sugli altri, ci si conta e si decide di conseguenza. I fatti e la riflessione diranno poi se quell’ agire era giusto o sbagliato, se conseguì il fine o lo fallì.

Sorprende che si consideri più unita l’ unione in cui tutti debbano essere d’ accordo, più rappresentativa l’ assemblea che rinunci a decidere quando anche uno solo dissenta, più legittimo il veto che il principio maggioritario, che sia più alla moda il privilegio della minoranza che il diritto della maggioranza. Le unioni che anche uno solo può distruggere, non sono unioni; o sono unioni diaboliche, perché diabolus è colui che divide.

La differenza tra unioni diaboliche e unioni edificanti è di metodo, istituzioni, regole. Non è l’ atteggiamento delle persone, è la cornice delle regole in cui le persone vivono ciò che fa la differenza. Metodo e regole hanno avuto i loro fondatori, ma le unioni – soprattutto se avevano buona ragione di esistere perché la cosa comune c’ era davvero – sopravvivono ai fondatori, educando alle loro buone ragioni chi viene dopo.

Unione ha, infatti, duplice significato: è atto di unirsi e stato dell’ essere uniti; ma l’ atto non cessa con lo stato, né lo stato è mai definitivo, né l’ atto è mai pienamente compiuto.

Non c’ è unione senza scala di valori o di priorità. L’ unione si rompe quando quella scala cessa di essere rispettata. Il metodo maggioritario, al pari della ruota, non garantisce di portare sempre alla buona meta. Ma senza di esso si ha la certezza, a quella meta, di non arrivarci. L’ unanimità è la regola della divisione. La maggioranza è la regola dell’ unione.

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