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Si crescer

2 agosto 2009 @ 12:27 In 2 - La crisi del 2007-2009, Mondo

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Il vocabolario dell’eco­nomia torna a parole gradite: finisce la re­cessione, inizia la ri­presa, il peggio è passato. Dal dicembre 2006, quan­do, quasi inosservato, si ar­restò un principale motore dell’espansione economi­ca mondiale (la bolla im­mobiliare, ossia l’ascesa ir­ragionevole dei prezzi del­le case in America), non è la prima volta che si parla di «uscita dalla crisi». Ma che significato dare a una tale espressione?

Affermare che si è pros­simi al punto in cui l’eco­nomia riprende a crescere è nello stesso tempo azzar­dato e fuori luogo. Azzar­dato perché i cosiddetti punti di svolta sono sem­pre difficili da individuare, e lo sono soprattutto quan­do il convalescente organi­smo economico è talmen­te debole da poter ricadere in catalessi anche per fatti irrilevanti in circostanze normali: le perdite di una banca, la chiusura di un’im­presa, un nuovo scandalo finanziario. Fuori luogo perché interpretando gli at­tuali movimenti dell’eco­nomia come fasi di un ci­clo economico, parlando perciò di recessione e di ri­presa, si fraintende il signi­ficato di ciò che sta avve­nendo. La crisi riguarda la crescita, il debito e la strut­tura dell’economia, non il suo andamento ondoso.

Non possiamo capire il dopo- crisi se non capiamo il prima , che conviene dun­que ricapitolare. La bolla immobiliare aveva spinto l’intero mondo in una cor­sa che pareva senza fine. I proprietari di case credeva­no, soprattutto in Ameri­ca, che i prezzi sarebbero saliti sempre e, credendosi in possesso di una vena au­rifera, s’indebitavano e spendevano. Spendevano per beni fabbricati da ope­rai istruiti e poco pagati di Paesi asiatici, i quali accu­mulavano — in cambio — titoli in dollari emessi in abbondanza dal governo Usa. La finanza si arricchi­va in un giro di denaro in cui i Paesi poveri prestava­no ai ricchi. La percezione del pericolo era offuscata dall’insensata credenza che potesse continuare co­sì, dal mito della razionali­tà del mercato e da inge­gneri finanziari che inven­tavano prodotti e circuiti nei quali il rischio sembra­va scomparire dal sistema come la donna dall’arma­dio del prestigiatore.

Più di una volta, nei pas­sati vent’anni, simili bolle speculative si erano forma­te ed erano poi scoppiate: prima delle case, i titoli hi­gh tech ; prima ancora, il debito dei Paesi emergen­ti. Ma il buio creato dallo spegnersi di un botto veni­va illuminato poco dopo dall’accendersi del succes­sivo e ogni volta si ripren­deva l’andazzo, passando da una bolla a un’altra.

Sarà così anche ora? Commetterebbe un errore chi lo ritenesse possibile o l’auspicasse: sia esso gover­no, banca centrale, impre­sa o famiglia. Uscire dalla crisi significa arrestare la caduta, non però tornare sulla strada che ha portato al baratro.

Quello immobiliare è, dovrebbe essere, il gran bengala, il botto finale. La crisi pone al centro delle preoccupazioni la riduzio­ne del debito, non più la ri­presa del consumo. Certo, la produzione dei Paesi ric­chi cesserà di precipitare e per ciò stesso riprenderà a crescere. Certo, l’econo­mia mondiale dispone di altri motori, dei quali pure converrà parlare. Ma sarà crescita lenta, frenata dalla riluttanza a fare nuovi debi­ti e dalla necessità di ridur­re quelli vecchi. Ci vorran­no anni per smaltire il pas­sato. E tutta l’economia mondiale risentirà del bas­so regime a cui girerà il motore dei Paesi ricchi.

Per la politica economi­ca la vera sfida inizia nel momento della ripresa. Il difficile viene adesso.

Il vocabolario dell’eco­nomia torna a parole gradite: finisce la re­cessione, inizia la ri­presa, il peggio è passato. Dal dicembre 2006, quan­do, quasi inosservato, si ar­restò un principale motore dell’espansione economi­ca mondiale (la bolla im­mobiliare, ossia l’ascesa ir­ragionevole dei prezzi del­le case in America), non è la prima volta che si parla di «uscita dalla crisi». Ma che significato dare a una tale espressione?

Affermare che si è pros­simi al punto in cui l’eco­nomia riprende a crescere è nello stesso tempo azzar­dato e fuori luogo. Azzar­dato perché i cosiddetti punti di svolta sono sem­pre difficili da individuare, e lo sono soprattutto quan­do il convalescente organi­smo economico è talmen­te debole da poter ricadere in catalessi anche per fatti irrilevanti in circostanze normali: le perdite di una banca, la chiusura di un’im­presa, un nuovo scandalo finanziario. Fuori luogo perché interpretando gli at­tuali movimenti dell’eco­nomia come fasi di un ci­clo economico, parlando perciò di recessione e di ri­presa, si fraintende il signi­ficato di ciò che sta avve­nendo. La crisi riguarda la crescita, il debito e la strut­tura dell’economia, non il suo andamento ondoso.

Non possiamo capire il dopo- crisi se non capiamo il prima , che conviene dun­que ricapitolare. La bolla immobiliare aveva spinto l’intero mondo in una cor­sa che pareva senza fine. I proprietari di case credeva­no, soprattutto in Ameri­ca, che i prezzi sarebbero saliti sempre e, credendosi in possesso di una vena au­rifera, s’indebitavano e spendevano. Spendevano per beni fabbricati da ope­rai istruiti e poco pagati di Paesi asiatici, i quali accu­mulavano — in cambio — titoli in dollari emessi in abbondanza dal governo Usa. La finanza si arricchi­va in un giro di denaro in cui i Paesi poveri prestava­no ai ricchi. La percezione del pericolo era offuscata dall’insensata credenza che potesse continuare co­sì, dal mito della razionali­tà del mercato e da inge­gneri finanziari che inven­tavano prodotti e circuiti nei quali il rischio sembra­va scomparire dal sistema come la donna dall’arma­dio del prestigiatore.

Più di una volta, nei pas­sati vent’anni, simili bolle speculative si erano forma­te ed erano poi scoppiate: prima delle case, i titoli hi­gh tech ; prima ancora, il debito dei Paesi emergen­ti. Ma il buio creato dallo spegnersi di un botto veni­va illuminato poco dopo dall’accendersi del succes­sivo e ogni volta si ripren­deva l’andazzo, passando da una bolla a un’altra.

Sarà così anche ora? Commetterebbe un errore chi lo ritenesse possibile o l’auspicasse: sia esso gover­no, banca centrale, impre­sa o famiglia. Uscire dalla crisi significa arrestare la caduta, non però tornare sulla strada che ha portato al baratro.

Quello immobiliare è, dovrebbe essere, il gran bengala, il botto finale. La crisi pone al centro delle preoccupazioni la riduzio­ne del debito, non più la ri­presa del consumo. Certo, la produzione dei Paesi ric­chi cesserà di precipitare e per ciò stesso riprenderà a crescere. Certo, l’econo­mia mondiale dispone di altri motori, dei quali pure converrà parlare. Ma sarà crescita lenta, frenata dalla riluttanza a fare nuovi debi­ti e dalla necessità di ridur­re quelli vecchi. Ci vorran­no anni per smaltire il pas­sato. E tutta l’economia mondiale risentirà del bas­so regime a cui girerà il motore dei Paesi ricchi.

Per la politica economi­ca la vera sfida inizia nel momento della ripresa. Il difficile viene adesso.


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