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La nuova geografia delle libere scelte

30 dicembre 2000 @ 16:44 In 1 - La Globalizzazione, Mondo

Democrazia e mercato a fine millennio


Se confrontiamo, a distanza di dieci anni, le regioni del mondo dove vigono a un tempo democrazia e mercato, constatiamo l’ accelerazione di un movimento che contraddistingue tempi e campi molto più vasti: è il passaggio, attraverso i secoli dell’ esperienza umana, dalla necessità all’ elezione. Oltre che l’ economia e la politica, esso investe sempre più la totalità del vivere, il nascere e il morire. È un movimento segnato da contrasti, cadute, pericoli. Ma è un movimento di ascesa, se è accompagnato da una crescita della coscienza degli individui, della conoscenza, della capacità di governo; forme di disciplina, di necessità, anch’ esse, ma assai diverse dalla costrizione esterna.

Nella sfera politica, «elezione» è il nome stesso che si dà alla scelta di chi governa. Nel mondo, il numero di coloro che eleggono i loro governanti è immensamente cresciuto e supera ormai la metà del genere umano: quasi ovunque si vota, e tutti possono votare. Solo nell’ ultimo anno ci sono state elezioni in quasi settanta Paesi, che hanno coinvolto quasi due miliardi e mezzo di persone; tra i Paesi vi sono Messico, Stati Uniti, Perù, Jugoslavia, Russia, Giappone, India, Spagna, Polonia.

In gran parte del mondo, l’ elezione del governo è una novità; e il suffragio universale non c’ era prima del Ventesimo secolo. Ancora poche generazioni fa, perfino gli spiriti liberali ritenevano pericoloso che potessero votare tutti, con voto di pari peso, in segreto; anche analfabeti, nullatenenti, donne, disoccupati. Dal governo del popolo (dalla democrazia) ci si attendevano irrazionalità, corruzione, demagogia, incompetenza, oppressione. E tutte queste malattie l’ infanzia della democrazia le ha effettivamente patite, perché le dittature del Ventesimo secolo sono nate, per lo più, dal favore popolare. Ma in breve tempo l’ elezione è divenuta una conquista che nemmeno le dittature potevano revocare. Le elezioni sono state manipolate, abolendo la segretezza del voto, o impedendo le candidature sgradite, o reprimendo la libertà d’ espressione; ma raramente sono state abolite del tutto.

La democrazia si diffonde, ma ha anche bisogno di perfezionarsi, perché non si esaurisce col chiamare il popolo alle urne. Il popolo vota, ma come scegliere chi sarà candidato? Come assicurare che la gara sia equa? Come stabilirne il risultato e renderlo accetto a tutti? Se la democrazia è il metodo più civile per allontanare dal potere un governante indesiderato, questo metodo talvolta richiede lunghi collaudi e, anche dopo questi, lascia dubbi sulla correttezza del voto e sulla coerenza costituzionale. In Messico non era mai accaduto che fosse sconfitto il candidato (scelto in conciliaboli segreti) del partito che, preso il potere con una rivoluzione, mai lo aveva abbandonato da oltre settant’ anni. In Jugoslavia, Milosevic aveva agito a lungo come un dittatore e ha abbandonato il potere solo dopo aver perso, oltre che gli elettori, la piazza e il sostegno dei militari. Negli Stati Uniti, è stato sconfitto il candidato più votato e l’ elezione è stata decisa in tribunale. In Corea è stato eletto presidente un coraggioso che per decenni aveva cercato l’ elezione e che governi autoritari avevano esiliato, imprigionato, perseguitato.

Non meno importante è il passaggio dalla necessità all’ elezione nella sfera economica, dove «elezione» significa produrre, consumare e risparmiare secondo le proprie scelte. Il mercato si è esteso a regioni del mondo che l’ ignoravano o lo rifiutavano. Ha cessato di essere chiuso nei confini degli Stati ed è divenuto globale.

La pianificazione socialista, pur nata per fini di giustizia e d’ uguaglianza, è fallita. E il mercato si è rivelato l’arma più efficace contro la povertà e la fame, non un lusso per società ricche.

Si è sempre meglio compreso, proprio in questi anni di fuoriuscita dal socialismo, quanto un sistema di mercato sia complesso e difficile da impiantare. Non è una semplice tecnica, che si possa installare come una rete telefonica. Richiede leggi, abitudini sociali, atteggiamenti mentali, accettazione del rischio e dell’ incertezza. È duro e difficile, sicché non sorprende la nostalgia del passato che si è diffusa nell’ Europa centrorientale e in Russia.

Mentre entra in nuovi Paesi, il mercato si perfeziona dove vigeva da tempo. In Italia, per esempio, non esistevano, ancora dieci anni fa, né una promozione attiva alla concorrenza né la libertà di esportare il risparmio; scompaiono, seppur lentamente, i monopoli pubblici; governi della sinistra prospettano di privatizzare le ferrovie, che i governi della destra storica avevano statizzato nell’ Ottocento.

Perfino il lavoro, che, dopo la cacciata dal paradiso terrestre, è stato sempre una dura necessità, diviene gradualmente una scelta, un atto di libertà. In America gli schiavi sono stati liberati solo nell’ Ottocento. In Russia il lavoro coatto è finito circa dieci anni fa. Molti lavorano ancora per un «padrone», ma sono ben difesi da leggi, contratti, giudici e spesso hanno ampie possibilità di scegliersi il padrone migliore. Un secolo di quelle che Einaudi chiamava lotte del lavoro ha reso l’ imprenditore forse più debole del lavoratore e in molti casi (anche in Italia) il vero padrone, cioè quello che riduce la libertà di chi ha o cerca lavoro, è ormai il sindacato, proprio l’ istituzione con la quale i lavoratori avevano acquistato forza e riconoscimento.

Né la democrazia né il mercato promettono il bene universale e certo non recano la felicità in terra. Non sono utopie come quelle che hanno insanguinato il secolo. Sono soltanto metodi. Addirittura, e molto modestamente, sono metodi per correggere gli errori, non per evitarli. Vengono spesso avversati proprio perché imperfetti e privi di splendore. Chi li idealizza, magari per farne dei demoni, ne tradisce il significato. Ma chi rimpiange il tempo in cui la necessità veniva più dalla costrizione esterna che dalla coscienza, tradisce l’ uomo.

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