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Gli Stati votano, le persone no

17 ottobre 1999 @ 12:41 In 1 - La Globalizzazione, Mondo

Sovranità, democrazia e il sì Usa ai test nucleari


Il Senato americano boccia il Trattato internazionale che vieta di sperimentare armi nucleari e improvvisamente riacquistano evidenza mali e pericoli che hanno avvelenato il secolo: la ricorrente cecita’ della democrazia, la fragilita’ della pace, la minaccia della distruzione nucleare. Mali e pericoli per lo piu’ dipendenti dalla mancanza di limiti alla sovranita’ degli Stati.

Il Trattato bandisce tutti i test (anche quelli sotterranei) indispensabili per sviluppare un armamento nucleare. Con cio’ non assicura certo la pace, ma attenua il rischio che il genere umano sia, un giorno, distrutto dalla guerra perche’ impedisce o ostacola un’ incontrollata diffusione delle armi atomiche fra i quasi duecento Stati sovrani della terra. Proprio perche’ molti Paesi a capacita’ nucleare (tra cui India, Pakistan, Nord – Corea) non l’ hanno neppure firmato, l’ entrata in vigore del Trattato nei Paesi militarmente piu’ forti era un passo fondamentale. Proprio perche’ le decisioni di due tra questi forti, la Russia e la Cina, sono ancora incerte, la ratifica americana era un indispensabile esempio. Ora, dopo il no della prima superpotenza, quella che piu’ si era adoperata per il Trattato, procedere, sia pur lentamente, lungo il sentiero tracciato e’ divenuto arduo e improbabile. Tra gli stessi americani, molti constatano con amarezza che la pace nucleare e’ messa in serio pericolo dal loro stesso Paese, il Paese che con la sua congiunzione di forza militare e liberta’ politica ha salvato piu’ di una volta dalla catastrofe il mondo in cui siamo.

Il Ventesimo secolo avrebbe forse avuto un corso meno tragico se il Senato degli Stati Uniti non avesse bocciato per due volte, nel 1919 e nel 1920, la ratifica del Trattato di pace di Versailles e percio’ l’ ingresso degli Stati Uniti nella Societa’ delle Nazioni. L’ unione politica europea sarebbe forse da tempo una realta’ se il Parlamento francese non avesse bocciato, nel 1954, l’ esercito europeo (la Comunita’ europea di difesa). Le relazioni commerciali mondiali si sarebbero forse sviluppate in modo piu’ ordinato e piu’ rapido se gli Stati Uniti non avessero, nel 1947, bocciato il Trattato dell’ Avana, che istituiva poteri internazionali in questo campo. Non avremmo oggi l’ euro ne’ l’ Unione monetaria se, chiamati a un secondo referendum, gli elettori danesi avessero confermato il loro no.

Accordi internazionali che regolano materie vitali per il benessere e la sopravvivenza stessa dell’ umanita’ vengono relegati al rango di esercitazioni giuridico – politiche dal popolo sovrano, direttamente o tramite assemblee da esso elette. E questo destino colpisce non trattati internazionali segreti, come quelli della Russia zarista che Lenin rese pubblici subito dopo la presa del potere, bensi’ testi accuratamente preparati e negoziati alla luce del sole da governi legittimi e democraticamente eletti.

Troppa democrazia? Al contrario: carenza di democrazia. Non solo perche’ il Trattato promosso soltanto da 48 senatori su 100 e’ condiviso dall’ 80 per cento dei cittadini americani. Ma soprattutto per la contraddizione che si apre sempre piu’ tra il campo della volonta’ popolare, gli Stati, e il campo degli interessi generali, il mondo. Vi sono ormai concrete questioni tecniche e politiche che coinvolgono l’ universo mondo, questioni in cui nessuna nozione d’ interesse generale ha senso se non e’ riferita all’ intero genere umano: si pensi all’ effetto serra, o alla pulizia dei mari, o (per l’ appunto) alla minaccia nucleare. Vi sono questioni di sicurezza e diritti umani per le quali la coscienza politica e civile ormai considera proprio prossimo ogni altra persona e rifiuta sempre piu’ l’ assolutismo della sovranita’ statale, anche se poi agisce in modo debole e spesso contraddittorio.

In certi casi la “generalita” dell’ interesse non e’ planetaria, ma supera di molto i confini dello Stato. Nel perseguimento di interessi generali che travalicano i confini degli Stati non vi sono rappresentanza ne’ democrazia.

Nel tempo in cui si formo’ , lo Stato nazionale aveva un perimetro tanto ampio da configurare, per la gran parte dei suoi sudditi o cittadini, un universo quasi sconfinato rispetto alla cultura e alle condizioni materiali dell’ esistenza. Realizzare le liberta’ politiche e i diritti civili entro quel perimetro, e infine introdurvi il suffragio detto appunto universale, hanno per molto tempo significato dare liberta’ , diritti, sicurezza, voto alle persone in quanto tali. Le dichiarazioni dei diritti americana o francese parlano di “uomini”, non di americani o di francesi. Ma oggi, il vitale interesse dell’ umanita’ alla propria sopravvivenza fisica e civile non ha rappresentanza; non vi e’ sede in cui l’ essere umano sia rappresentato in quanto tale. La cooperazione internazionale non contempla la democrazia; quella europea la realizza solo in modo incompleto.

Nella lenta e ancora esitante formazione di poteri e regole estesi quanto lo sono i fenomeni da governare, diverra’ sempre piu’ necessario introdurre elementi di rappresentanza delle persone, oltre che dei governi. Le forme e gli istituti di una democrazia internazionale sono ancora da inventare e saranno probabilmente diversi da quelli finora sperimentati, cosi’ come sono diverse le procedure usate dai pochi abitanti di una vallata svizzera e i milioni di cittadini della federazione americana. Ma il cammino va immaginato e intrapreso. Si capira’ sempre meglio (anche attraverso regressioni come la recente decisione americana) che la democrazia vigente entro ciascuno Stato non soddisfa il bisogno di democrazia internazionale. L’ espressione della volonta’ generale non e’ monopolio degli Stati, appartiene alle persone. E si capira’ sempre meglio che, senza legittimazione democratica propria, la formazione di quei poteri e di quelle regole non potra’ avvenire, o non verra’ accettata.

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