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Un uomo adatto a “tempi calamitosi” proprio come quelli dell’Italia di oggi

14 febbraio 2008 @ 11:49 In 1 - Attualità, Italia

Beniamino Andreatta è stato una straordinaria presenza umana che ha gettato semi e lasciato tracce in chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarlo, anche una sola volta. Forse, il tratto più caratteristico della sua personalità è stato l’ eccezionale capacità di coniugare due termini che troppo spesso vengono contrapposti: disciplina e libertà, rigore e quasi scandalosa spregiudicatezza, la spregiudicatezza di chi non si stanca di cercare il meglio. Con questo tratto egli ha segnato la sua opera di economista e di uomo di cultura, ma ancor più la sua azione, condotta – anche negli incarichi istituzionali – al di fuori degli schemi convenzionali, innovando nei metodi, negli indirizzi, nelle pratiche di lavoro, nella scelta delle persone, nel modo di parlare. Andreatta, è vero, i fiammiferi spenti con cui riaccendeva la pipa spesso se li metteva in tasca; ma con la stessa nonchalance sparpagliava semi a piene mani, con sovrana generosità: idee, suggerimenti, ispirazioni, iniziative che crescevano e germogliavano forse senza che egli nemmeno sapesse di esserne stato il promotore. Innumerevoli persone hanno contratto, in termini e tempi differenti, un debito di riconoscenza nei confronti suoi e del suo pensiero. E molti sono i luoghi e le istituzioni che ha fatto nascere o trasformato. Dell’ importanza del passaggio di Andreatta in via Venti Settembre è testimonianza la ricca documentazione conservata negli archivi del Ministero. Vorrei sottolineare un filo conduttore che unisce questo materiale: è l’ arte di imprimere un nuovo corso alle cose senza ricorrere allo strumento legislativo. Ci sono, purtroppo, ben note sia la propensione a identificare l’ azione di governo con l’ elaborazione di proposte di legge, sia l’ esiguità degli spazi di movimento che l’ ipertrofia della legislazione primaria lascia al potere esecutivo: due mali complementari in cui rischia di consumarsi una disgregazione di quello Stato unitario di cui ci prepariamo a celebrare il Centocinquantenario. Ebbene, Andreatta, come nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama, fu un grande interprete della funzione parlamentare, così in queste stanze ebbe la pazienza, l’ umiltà, la fantasia di interpretare il senso più alto del governare. Il prodotto forse più noto di quest’ arte è il semplice scambio di lettere – febbraio-marzo 1981 – che pose fine all’ impegno della Banca d’ Italia ad acquistare i Buoni del Tesoro rimasti invenduti alle aste, il cosiddetto divorzio. Il «divorzio» fu una rivoluzione compiuta con gesti snelli, concordati tra il Ministro e l’ allora Governatore della Banca d’ Italia Ciampi. Un semplice atto del Ministro impresse la svolta necessaria a conferire trasparenza e responsabilità alla politica di bilancio, autonomia e responsabilità alla politica monetaria. Un altro prodotto di quell’ arte fu la Tesoreria unica, l’ obbligo per tutti gli enti pubblici di utilizzare i conti infruttiferi accesi presso la Banca d’ Italia, sui quali vengono versati i trasferimenti statali. Tanti altri furono i semi gettati e le tracce lasciate. Li ricordo con poche parole chiave: liquidazione del Banco Ambrosiano; trasparenza delle banche; concorrenza e maggior efficienza del sistema bancario; allentamento dei vincoli valutari; legge per i fondi di investimento mobiliare; contenimento del deficit; riduzione dell’ effetto della spesa previdenziale sul bilancio dello Stato; disciplina del finanziamento degli enti locali; sostegno della partecipazione dell’ Italia allo Sme; emissioni di titoli della Repubblica in Ecu; ristrutturazione industriale e credito alle imprese; cessazione delle politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno; avvio della «protezione civile». Negli ultimi anni Andreatta era divenuto una presenza silenziosa, sospesa, chiusa nel mistero del coma in cui era caduto dopo il malore che lo aveva colto in Parlamento. Una presenza a cui tanti andavano col pensiero e con l’ affetto, chiedendosi che cosa avrebbe pensato e suggerito in una circostanza che angustiava loro o la vita nazionale. A questo proposito voglio ricordare le parole con cui Paolo Baffi mandò il giovane funzionario che ero allora a conoscere Andreatta, all’ Hotel de la Ville, nei primi anni ‘ 70. Quasi mi consegnò alle cure di un maestro di bottega. Innescò un colloquio che da allora non si è più interrotto. Mi disse Baffi: «Vada da lui, lo conosca… vedrà». Poi lo paragonò a Churchill, per corpulenza, personalità, possibile destino. Disse Baffi: «Andreatta, un uomo di genio. Ma ci vogliono tempi calamitosi perché un Paese si rivolga a lui». Signori, quei tempi l’ Italia, ostinandosi a non vedere, li vive oggi. E noi, più che mai, vorremmo che Andreatta fosse qui.

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