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Due regimi e buongoverno

23 gennaio 2006 @ 11:56 In 2 - La Politica, Italia

Il nostro sistema politico in bilico.

Le tensioni che non smettono di tormentare l’ opposizione e ne mettono a rischio la possibilità di vincere domani e di governare dopodomani sono sotto gli occhi di tutti: primarie o no, lista unica o no, chi saranno i capilista, chi paga i manifesti, chi sceglie i candidati, chi i ministri, e via dicendo. E’ anche troppo facile vedervi soltanto rivalità personali, liti di partito, interessi di apparati. I fatti umani hanno spesso un ventaglio di moventi che scende dal nobile all’ ignobile. Avere occhi solo per i moventi più bassi qualifica chi guarda forse ancor più che chi è guardato.

Nelle diatribe che lo esasperano, il cittadino deve vedere anche la faticosissima scelta tra due regimi politici, nei quali il primato del potere è rispettivamente nel governo e nel partito. Dico «primato», perché ogni sistema politico sano deve comprendere entrambi gli elementi e, in una certa misura, bilanciarli.

Immaginiamo i due regimi nelle loro forme estreme. Nella forma estrema del primo (primato del governo) il partito si costituisce solo per conquistare il governo e si dissolve dopo la contesa elettorale, quale che ne sia stato l’ esito. Nella forma estrema del secondo regime, il partito è un’ organizzazione di sedi, militanti, elaborazione di programmi, dibattiti ideologici che influisce sulla politica senza porre al centro delle sue ambizioni l’ esercizio diretto del governo. Nel primo chi tiene il governo comanda anche il partito, direttamente o per interposta persona; nel secondo chi conquista il partito non governa, mentre nel palazzo del governo siede un suo temporaneo delegato. La degenerazione del regime di partito è l’ oligarchia; quella del regime di governo è la monocrazia.

La simmetria tra i due regimi non è piena perché un Paese può vivere senza partiti ma non senza governo. Mentre il partito si può ridurre a un esercito di volontari, allestito per l’ occasione elettorale e poi sciolto, la macchina del governo non si smonta mai. Perciò il regime di partito tende a essere bicefalo, quello di governo monocefalo.

Governare un Paese e guidare un partito sono espressioni molto diverse del fare politica e corrispondono a due vocazioni che raramente si riuniscono in una stessa persona. Quella di governo è vocazione a coniugare politica e azione, ad amministrare, a decidere, a operare con strutture e persone che non hanno una stessa affiliazione politico-ideologica né una solidarietà di gruppo. Quella di partito è vocazione a coniugare politica e cultura, a dibattere, a costituire più che a spendere il potere, a operare con e tra persone accomunate da lealtà ideologica e di gruppo.

De Gasperi, Scelba, Andreotti, Colombo, Andreatta erano uomini con preminente vocazione di governo. De Mita, Piccoli, Moro, Forlani, Marini erano senza gusto per il governo e impacciati nell’ esercitarlo come foche sulla terraferma.

La forza dei partiti è non solo compatibile con la democrazia; ne costituisce addirittura uno strumento primario e una garanzia. Essa separa l’ elaborazione strategica dalla conduzione degli affari di governo dando spazio ad ambedue; permette di guardare lontano e vicino allo stesso tempo. Come in certe corse automobilistiche o gare veliche, assicura un pilota e un navigatore. Quando funziona al meglio, la vita di partito – e forse solo quella – offre ai cittadini una possibilità di impegno politico effettivo, disinteressato, meno sporadico del semplice andare a votare, orientato al bene pubblico piuttosto che a un interesse di categoria. E poiché l’ indifferenza per la polis è un male altrettanto pericoloso dell’ eccesso di passioni, questi non sono vantaggi da poco. Il buongoverno ne ha estremo bisogno. Ma se la forza diviene predominio sorgono gravi inconvenienti: instabilità, scarsa democrazia, poco controllo, opacità. Se la durata media dei governi democristiani fu di un anno circa è perché il partito soverchiava il governo, aveva un vertice cronicamente instabile ed era nello stesso tempo del tutto ostile a ogni consolidamento del governo. Persino un grandissimo uomo di governo come De Gasperi fu allontanato dal potere dal suo partito, non dal voto popolare; Andreotti, debole nella Dc e mai al suo vertice, soddisfece la sua vocazione di governo manovrando con abilità e spregiudicatezza una piccola corrente. E’ vero, come spesso osserva Giovanni Sartori, che la vita breve di quei governi non fu instabilità politica; ma è anche vero che il procedere a singhiozzo dell’ attività di governo ebbe costi enormi in termini di buona amministrazione. Il sistema politico britannico e quello americano danno il primato al governo. Ma in Gran Bretagna il partito ha un’ importantissima funzione di garanzia: non si dimentichi che Margaret Thatcher fu dimessa dal partito, non dagli elettori. In Olanda, Belgio primeggiano i partiti, in Cina il partito unico; in Germania i partiti sono potentissime realtà organizzative ed economiche che condizionano fortemente chi governa (o addirittura lo avversano, come lo fu Schmidt quando era Cancelliere). In Francia De Gaulle cercò di realizzare il passaggio a un primato del governo, ma gradualmente la politica è ritornata al primato dei partiti. Entrambi i regimi hanno pregi e difetti; di entrambi ci sono esempi importanti; entrambi vantano splendori e miserie. Ma l’ ottimo probabilmente è quello in cui i partiti esistono, sono forti, e, se vincitori, danno il primato al governo. Il senso stesso della politica è, infatti, l’ esercizio dell’ arte di governo, e questa arte va infine esercitata dalla prima fila, non dalle retrovie. Le retrovie-partito sono una indispensabile garanzia contro il pericolo che le lobby o gli interessi personali diventino il vero navigatore di chi pilota la macchina. Ma retrovie devono rimanere. In Italia, dopo la fine della cosiddetta prima Repubblica, il sistema politico è rimasto in bilico tra i due regimi. E la situazione è grandemente complicata dal fatto che il potere di governo è conteso non da due partiti ma da due coalizioni: dunque più instabilità potenziale, più lentezza, più opacità. Chi compie la scelta tra primato del governo e primato del partito? Solo in piccola parte la scelta è fatta nella Costituzione o in leggi come quella elettorale o sul finanziamento pubblico della politica. In misura preponderante è fatta dalle formazioni politiche stesse, che la impongono ai cittadini. E solo quando la disfunzione raggiunge livelli intollerabili la scelta passa ai cittadini stessi: così fu con il referendum del 1993 e così fu, in parte, con il voto del 2001, che punì la riscossa dei partiti nel centrosinistra. Oggi, tra le caratteristiche della contesa elettorale in corso, vi è il fatto che le due coalizioni concorrenti sembrano corrispondere ai due diversi regimi che abbiamo posto a confronto: primato del governo nel centrodestra, dei partiti nel centrosinistra. Dico «sembrano» perché sia il bilanciamento sia il primato rimangono questioni aperte in entrambe le coalizioni. Ma tra gli elementi che indurranno gli indecisi a compiere la loro scelta di voto vi sarà probabilmente anche la valutazione dei pregi e difetti dei due regimi.
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