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Consenso e buon governo

16 febbraio 2004 @ 12:39 In 2 - La Politica, Italia

Il dibattito sul declino del Paese


Impoverimento, declino: vi è da augurarsi che queste due parole si pongano al centro del dibattito politico e che vi restino fino al voto 2006. C’ è da augurarselo, perché la questione del declino è reale, non fittizia, e perché solo la politica può nello stesso tempo ascoltare e guidare l’ Italia ad affrontarla. E proprio di ascolto e guida c’ è bisogno.

Ho riletto l’ appassionante inchiesta di Dario Di Vico «Profondo Italia», a disposizione di chiunque sul sito del Corriere: fatti, analisi, pareri d’ esperti, contributi di lettori. Colpisce il contrasto tra la complessità italiana e il rischio di semplicismo della risposta politica.

Complessità, perché vi sono nuovi poveri, ma anche nuovi ricchi; desiderio di protezione, ma anche di selezione; volontà di emigrare, ma anche attaccamento all’ Italia; critiche ai governi, ma anche invocazioni. Rischio di semplificazione, perché guai se il dibattito si riducesse a un confronto tra statistiche buone e cattive, tra Istat ed Eurispes, tra chi afferma che «la ricchezza cresce e i poveri diminuiscono» e chi dice il contrario.

Si parla, ovviamente, della cosiddetta povertà relativa, non della povertà assoluta, che pure in Italia esiste e che dovrebbe essere la vera, forse unica, destinataria dell’ assistenza e della compassione. Madre Teresa accettò di aprire una casa a Roma solo dopo avervi personalmente constatato la presenza di luoghi di miseria simili a Calcutta.

La povertà relativa riguarda invece il ceto medio, di cui fa parte la maggioranza degli italiani; sono coloro che ricevono non un’ eredità, ma in famiglia un’ educazione di vita, e a scuola un’ istruzione corrispondente alla loro capacità e volontà di studiare. Orbene, se guardiamo al ceto medio, vediamo quanto sia cambiata l’ Italia in una generazione. Rispetto ai genitori, un trentenne di oggi ha maggiori disponibilità, ma gli manca una fiducia fondamentale: di vivere in un Paese e in un continente dove i figli raggiungono traguardi di benessere preclusi ai loro padri. Benessere privato (abitazione, lavoro, consumi, risparmio), ma anche qualità dei beni pubblici, pulizia dell’ ambiente naturale e civile, presenza nel mondo.

L’ Italia vive un declino da dieci o vent’ anni, non da tre o quattro. Ed esso non nasce solo dal modo in cui si governa in questa legislatura, riguarda anche le precedenti. Chiamare oggi «truffa mediatica» la tesi della povertà è insensato; ma è insensato anche suggerire che declino e impoverimento nascano adesso.

La società e la politica sono, da qualche anno, entrambe a un bivio. La società, tra andare avanti e tornare indietro, tra cercare sicurezza nella protezione e cercarla premiando la qualità, tra accettare le sfide e fuggirle. La politica, tra ascoltare soltanto o anche guidare. Ascoltare soltanto vuol dire amplificare e rincorrere ogni umore sociale, farne leva solo per la conquista e la conservazione del potere. Guidare significa essere consapevoli che ogni governo deve guardare più lontano di chi pur l’ ha democraticamente eletto, deve essere buon pedagogo, deve elaborare sintesi e compiere scelte che superino le contraddizioni e gli umori della società. Certo, nella società le persone hanno preferenze diverse; ma è anche vero che ciascuna è indecisa su che cosa preferire, suscettibile di essere convinta, desiderosa di guida e di esempio morale.

Si racconta che Margareth Thatcher, a un collaboratore che le pronosticava perdita di consenso se avesse preso una certa decisione, reagì inviperita come se avesse sentito una parolaccia: «Consenso?! Consenso?! Io non sono qui per il consenso, sono qui per il bene del mio Paese». Anche per questo, governò per dodici anni.

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