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“I pericoli di contagio esistono ma l’Europa ha saputo reagire l’Italia non corre un rischio-Grecia”

9 maggio 2010 @ 10:25 In 1 - Attualità, 3 - Economia, Europa

di Piercarlo Fiumanò

Professor Tommaso Padoa-Schioppa, la situazione dei conti pubblici in Grecia tiene con il fiato sospeso i mercati di Eurolandia. Ritiene che ci sia un reale rischio di contagio a Paesi come Spagna e Portogallo? Il pericolo esiste, ma sarebbe immensamente più elevato se l’Europa non avesse varato un piano così cospicuo di aiuti finanziari e se il governo Papandreu non si fosse impegnato in un

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severo programma di risanamento. Per la Grecia sono state prese misure eccezionali di correzione dei conti pubblici e anche l’entità del sostegno finanziario complessivo è senza precedenti. Senza questi interventi il contagio sarebbe stato non un rischio ma una certezza. Negli ultimi giorni le Borse si sono invece fatte prendere dal panico. Purtroppo la storia di questi ultimi anni mostra che i mercati molto spesso agiscono in modo irrazionale, e prima di ragionare sragionano. Tuttavia il rischio di contagio è reale e la possibilità di evitarlo dipenderà soprattutto dalla capacità di risposta tempestiva dei Paesi ad alto deficit. Ritiene che il robusto piano di aiuti finanziari approvato dall’Eurogruppo per salvare i conti di Atene sarà sufficiente a calmare i mercati? Gli aiuti alla Grecia saranno sufficienti a fare uscire il Paese dalle difficoltà a patto che le misure adottate dal governo di Atene si traducano in realtà. I mercati dovranno prendere atto dei progressi compiuti. Altri Paesi sono riusciti in tempo a correggere squilibri di bilancio forse anche più gravi di quelli

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della Grecia. L’Irlanda non è stata presa di mira dai mercati perché ha saputo intervenire in tempo riportando sotto controllo i suoi conti. È bastato un report di Moody’s negativo sul sistema bancario italiano perché a Piazza Affari, nonostante le rassicurazioni di Bankitalia, si scatenassero le vendite. Le grandi agenzie di rating mondiali vengono da più parti accusate di procurato allarme. Cosa ne pensa? Le agenzie di rating dovrebbero, con i loro giudizi, esercitare una funzione di guida del mercato. Purtroppo l’esperienza di questi ultimi anni ci dice che spesso la capacità di indipendenza è carente perché le agenzie di rating esprimono giudizi al traino del mercato con un effetto destabilizzante. A suo giudizio esiste il rischio di una speculazione contro l’euro? Una speculazione contro l’euro che fa scendere o salire il tasso di cambio dell’euro è normale in un sistema di cambi flessibili. L’euro è esposto a questi vagabondaggi del cambio esattamente come ogni altra moneta, a cominciare dal dollaro. Quale potrebbe essere l’impatto sulla moneta unica se un Paese come la Grecia si trovasse costretto a uscire dall’Euro? Questa eventualità è soltanto uno spauracchio che viene agitato sui mercati. Questo è il momento delle istituzioni, delle decisioni da parte dei governi, dei Parlamenti e delle banche centrali. L’uscita della Grecia dell’Euro non è un evento che possa essere imposto dai mercati. Il Cancelliere Merkel ha detto che l’Europa si trova ”sull’orlo dell’abisso”. Una preoccupazione fondata? Sì: stiamo attraversando una crisi

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gravissima destinata a protrarsi nel tempo. Ma è anche vero che c’è una consapevolezza diffusa della sua gravità. Le decisioni prese dall’Eurogruppo e dalla Grecia, sia pure tardive, sono state quelle giuste. Che cosa le istituzioni europee potevano fare per scongiurare questa situazione e non hanno fatto? Le istituzioni europee e il governo greco dovevano intervenire con misure di sostegno già mesi fa, e con misure preventive già anni fa. Un intervento più tempestivo avrebbe evitato l’acutizzarsi della crisi. Perchè non si è intervenuti prima? Per molto tempo la Grecia si è cullata in una rappresentazione non corretta della realtà. Quando la situazione è stata presentata all’opinione pubblica in tutta la sua gravità si è sgretolato un muro di illusioni, fatto per compiacere l’elettorato, di cui ogni governo greco è stato responsabile nel corso degli anni. Ma anche il resto d’Europa si è cullato in un’illusione, come se il pericolo non fosse incombente e riguardasse solo la Grecia e non anche il risparmiatore tedesco o francese. Il Cancelliere Merkel e il premier greco Papandreu alla fine hanno avuto coraggio. Dagli Usa arrivano i dubbi più pesanti sulla tenuta del sistema Euro. La situazione dei conti pubblici dell’Unione Europea è sicuramente migliore di quella degli Stati Uniti e del Giappone, che hanno un debito enormemente più pesante. È vero che alcune regioni dell’Unione europea, come la Grecia, sono in seria difficoltà; ma se guardiamo agli Usa, anche un grande Stato come la California ha gravi squilibri finanziari. Potremmo allora chiederci: come mai i mercati si preoccupano dei conti pubblici europei e non guardano a situazioni ancor più gravi negli Stati Uniti e in Giappone? Lei cosa risponde? Rispondo che l’Unione europea non viene considerata un ”paese” ma, secondo un detto che Metternich usò per l’Italia, una ”espressione geografica”. Ciò è vero solo in parte, perché l’Unione è assai più di un semplice aggregato di Paesi fra loro indipendenti, anche se le classi politiche e gli economisti spesso hanno contributo a non farlo capire. Essa è un quasi-Stato, è – appunto – una ”unione”, sia pure incompiuta. E la Grecia è una regione dell’Unione, non uno Stato a se sé stante. In questi giorni si discute su una revisione del Trattato di Maastricht e del Patto di stabilità europeo. È giusto che di fronte a una crisi di queste proporzioni si accetti che i parametri del patto vengano superati. Sarebbe stato un errore ignorare che l’intensità della crisi creava una situazione eccezionale. Ma se nel pieno di una crisi un Paese supera il limite del rapporto deficit-Pil fissato al 3% bisogna riaffermare con chiarezza che quel limite deve rimanere la norma, che l’eccezione conferma la regola. Del resto, nessuno oggi propone di ampliare il limite del 3%. Si dovrà tuttavia discutere se sia necessaria una modifica del Patto oppure una sua gestione più efficace. Il Trattato va cambiato come chiede la Germania? L’apertura su una revisione del Trattato, fatta in modo sorprendente dalla Germania, nasce da un obiettivo più ampio della revisione del Patto di Stabilità: la creazione di un Fondo Monetario Europeo e di condizioni che evitino il ripetersi della crisi presente. Quella tedesca è un’apertura positiva perché rappresenta una manifestazione di volontà europea. Per la prima volta si ammette che dopo il Trattato di Lisbona potranno esserci nuove modifiche dei trattati, se necessarie per rafforzare l’Unione. Quanto siamo lontani dalla creazione di un’Europa politica compiuta? La natura dell’Unione Europea è già oggi profondamente politica, anche se il suo contenuto è economico e monetario. E tuttavia è ormai indispensabile un decisivo irrobustimento della capacità dell’Unione di fare politica economica. Soltanto quando saranno stati definiti i contenuti precisi di questo rafforzamento si potrà stabilire se i trattati attuali li consentono o se saranno necessarie modifiche. La crisi greca è connessa alla crisi dei mutui subprime? Essa è un episodio della crisi globale iniziata nel 2007 con i subprime , che porta conseguenze gravi perché non colpisce solo la Grecia ma la stessa Unione Europea, che non ha, nel suo complesso, una finanza pubblica in disordine, ma che agisce con troppa lentezza. Il fatto che ci sia una minaccia forte in un’area del mondo non direttamente responsabile della crisi crea un precedente unico e preoccupante. Nel caso della Grecia ritroviamo tutti gli ingredienti della crisi: mercati finanziari in preda al panico che hanno esercitato tutta la loro forza distruttiva, governi che agiscono tardivamente. C’è anche un costo politico e sociale della crisi. Quando finirà? Questa crisi ha creato milioni di disoccupati negli Usa e in Europa e comporterà sacrifici pesanti in Grecia. In Grecia la fase violenta potrebbe essere superata, anche se le turbolenze dei mercati e le tensioni di piazza mostrano che per ora la calma non è tornata e c’è il pericolo che le tensioni riesplodano. Atene impiegherà anni per correggere gli squilibri dei suoi conti. Il debito pubblico resta la vera mina vagante per i nostri conti. Anni fa però eravamo noi la Grecia. L’Italia è stata vista a lungo con sospetto dagli altri partner europei. Che cosa è cambiato? L’Italia è stata per molto tempo giudicata quasi esclusivamente dalla dimensione del suo elevato debito pubblico. Non c’è dubbio che questo costituisca un peso che preoccupa i mercati: dobbiamo ricordarcelo 24 ore su 24. Tuttavia ci sono elementi positivi che temperano le preoccupazioni per il debito pubblico. L’Italia dispone di un avanzo primario che molti Paesi non hanno. Il nostro sistema pensionistico svilupperà nel tempo meno squilibri di gran parte dei Paesi europei. Le famiglie sono poco indebitate e continuano a risparmiare. Le nostre banche sono state in grado di gestire la crisi senza bisogno di denaro pubblico. Dove trovare risorse per lo sviluppo? L’Italia ha grandi riserve a cui può attingere. Mi riferisco all’enorme recupero di efficienza nel settore pubblico e sul fronte dell’evasione fiscale, che ancora deve essere compiuto. Qui si possono trovare le risorse per finanziare ammortizzatori sociali e per un rilancio della politica industriale.

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