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Berlino e Parigi ritorno alla realtà

26 agosto 2003 @ 10:55 In 2 - La Politica, Europa

Interventi strutturali difficili ma obbligati

I governi di Francia e Germania sembrano aver scelto, ormai senza riserve, la strada di quelle che il gergo economico chiama riforme strutturali. Non sappiamo se andranno fino in fondo; ma se poniamo questa scelta in prospettiva possiamo comprenderne il significato storico e anche azzardare una previsione.

Solo sei anni fa Francia e Germania si autoiscrivevano con sussiego nel nucleo dei Paesi in regola su tutto: inflazione e bilancio, direttive europee e stabilità politica. In realtà i semi delle difficoltà già maturavano.

La Germania aveva vinto per anni, decenni, combinando la superiore qualità dei suoi prodotti industriali (chi compra una Mercedes non bada al prezzo) con la superiore stabilità dei prezzi: le periodiche rivalutazioni del marco premiavano la combinazione ma vi contribuivano anche, perché proprio esse calmieravano i prezzi. La Francia, dopo la svalutazione del 1983, aveva preso la ferrea determinazione di fare «come e meglio della Germania»; un severissimo controllo dei salari accrebbe anno dopo anno la competitività favorendo la crescita. Proprio il successo della rincorsa francese contribuì a indebolire l’ arma vincente della Germania. Nel 1992-’ 93, rifiutando la svalutazione sul marco, la Francia si difese da un ritorno al vecchio male.

Nell’ ultimo decennio entrambi i percorsi si sono fatti impervi. Anzitutto per la Germania, aggravata dai costi della riunificazione e dalla perdita del vantaggio di prima della classe. Poi anche per la Francia, dove si esaurivano i margini della disinflazione competitiva. Quando la corsa dell’ economia americana cessò di far crescere tutti, le magagne di ciascuno divennero evidenti e il bisogno di curarle urgente. Francia e Germania si ritrovarono con disoccupazione e disavanzo pubblico pesanti; da severi maestri della stabilità divennero scolari senza il compito fatto.

Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l’ intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione.

Nell’ Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’ essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità. Cento, cinquanta anni fa il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l’ apprendistato di mestiere, costoso investimento. Il confronto dell’ uomo con le difficoltà della vita era sentito, come da antichissimo tempo, quale prova di abilità e di fortuna. È sempre più divenuto il campo della solidarietà dei concittadini verso l’ individuo bisognoso, e qui sta la grandezza del modello europeo. Ma è anche degenerato a campo dei diritti che un accidioso individuo, senza più meriti né doveri, rivendica dallo Stato.

Germania e Francia sono Paesi con forte struttura dello Stato, consapevoli di sé, determinati a contare nel mondo, sorretti da classi dirigenti attente all’ interesse generale. In entrambe, il modello di società (lo stesso dell’ Italia) ha bisogno di coraggiose correzioni, diverse e in qualche caso maggiori di quelle necessarie all’ Italia. Le difficoltà sono notevolissime. Ma riesce difficile pensare che, imboccata la strada, i due Paesi non sappiano percorrerla con determinazione.

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